Corey And Damon

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Kaname kuran
view post Posted on 14/11/2008, 02:40 by: Kaname kuran






Capitolo trentaquattresimo
Breaking off

La mattina seguente il pullman li ricondusse all’aeroporto dal quale erano sbarcati, per tornare in America. Corey si sentiva stressato e nervoso, ed era grato a qualsiasi entità superiore per essere finalmente giunto al termine di quello stillicidio senza riuscire ancora ad ammettere di avervi trascorso momenti indimenticabili.
La sua valigia pareva buffamente il doppio più pesante di quando era partito, e per richiuderla era stato costretto ad accettare l’aiuto degli aitanti compagni di stanza che non avevano esitato a pressarla con tutti i loro modici ottanta chili ciascuno. Non fosse stata provvista di ruotine, difficilmente se la sarebbe trascinata dietro.
Scott era stato affettuoso come sempre, ed a colazione era andato tranquillo a salutarlo sedendogli accanto, così discreto da non accennare con una parola alla sera precedente, benché ciò che provava fosse percepibile in ogni suo sguardo, in ogni modulazione di voce. Corey si sentiva vagamente in colpa per essere stato un po’ brusco, visto che quella notte non aveva fatto che rigirarsi nel letto dormendo sì e no una mezzora. Proprio quando era riuscito ad assopirsi, John e Marc gli erano piombati in camera come due uragani lamentandosi a gran voce dei loro tentativi andati in bianco con le pupette ed affogando i dispiaceri nei mignon alcolici del minibar. Da quel momento neanche un orso in letargo avrebbe più preso sonno.
Con lo stesso tenore si svolse anche il lungo viaggio in aereo. Corey ebbe un lieve scombussolamento di stomaco, più dovuto alla tensione nervosa che al mezzo di trasporto, e trascorse tutto il tempo a guardare attraverso il finestrino con fare stizzito, senza dar modo a Scott di capire cosa frullasse nella sua testa. L’amico aveva provato più di una volta ad introdurre un qualche discorso, anche banale, a parlargli con quella sua gentilezza, ma Corey aveva sempre eluso ogni tentativo ed egli aveva finito per arrendersi, deducendo che forse la sua presenza gli era davvero venuta a noia.
Ed ora eccoli lì, finalmente sull’autobus verso casa, a sera inoltrata. La vista di quelle luci ed immagini così familiari, il mare, le piccole abitazioni ai lati delle strade come dimore di bambole avevano un aspetto rassicurante.
Si salutò con Scott in modo un po’ asettico. A vederlo si sarebbe detto stesse tentando di evitarlo, e forse era proprio così, anche se non riusciva a comprenderne la ragione. Era convinto che rivedendo Damon tutto sarebbe tornato a posto. Ma ‘a posto’ per cosa, poi? Per continuare a recitare la parte dell’amante in una relazione già destinata a finire? Era giunto ad un tale livello di esasperazione mentale che avrebbe voluto mettersi ad urlare!
Non appena fu a casa sua sorella gli corse incontro sul vialetto e gli saltò addosso giubilante, pretendendo di essere sollevata. Corey provò ad accontentarla, ma le braccia gli cedettero completamente. ― Sei diventata troppo pesante, per me, Brit, ― concluse rassegnato.
― Villano, ― sibilò lei tra i denti. ― Sei tu che perdi le forze.
Sua madre come al solito non era in casa, ma egli non se ne rammaricava minimamente, e comunque era convinto che non avrebbe mostrato alcun segno di entusiasmo nel rivederlo. Al contrario forse sperava che il suo aereo si fosse schiantato: per lei doveva essere certo una grande liberazione.
― Ah, c’è un messaggio per te nella segreteria telefonica, ― gli fece sapere Britney con aria maliziosa, prima di barricarsi in camera senza aggiungere una parola.
Col cuore in gola Corey si fiondò a premere il pulsante sul telefono, ed ecco subito, come sperava, la sua voce… riascoltarla gli sortiva un effetto strano, quasi… di irrealtà. Il cuore si sciolse, il battito aumentò e tutto il corpo fu scosso da un fremito. Quello era un tipo di amore misto all’ossessione! Si poteva vivere così?
― Ciao, Corey, bentornato, spero tu abbia trascorso il viaggio piacevolmente! ― Voce incrinata, parole esposte con difficoltà… perché? ― Anch’io sono tornato stasera, ma a parte questo… ti chiamo per sapere se possiamo vederci… il prima possibile. Ho bisogno parlarti, quindi… potresti richiamarmi al tuo ritorno? Mio padre non è in casa, telefona pure… anche se è molto tardi, tanto non vado a dormire. E perdonami per il disturbo.
Quel discorso lo lasciò raggelato. Così distaccato… Sapeva che nella segreteria non poteva sbilanciarsi, però… c’era qualcosa che non andava, ed a quel pensiero sentì crescere in sé una vera preoccupazione. Solo ad immaginare che Lena fosse rimasta incinta o che l’avvocato avesse scoperto il loro ‘piccolo segreto’ si sentì defluire il sangue dal volto.
Quindi, al culmine dell’apprensione, digitò il numero senza pensarci due volte ed al terzo squillo rispose il suo amante in persona, precedendo persino la governante.
― Corey?
― Oddio, finalmente… credevo di morire!
― Ciao… sembra una vita che non ci sentiamo più. Sei tornato da poco? ― Dal tono pareva tranquillo, anche se malinconico.
― Da appena cinque minuti. Ma dai, racconta: come te la sei passata, in questi giorni?
― È stato un viaggio senza nulla di speciale. Divertente, sì, ma neanche poi tanto. Ora però…
― Hai detto se ci incontriamo… per me va benissimo: vieni qui da me, la casa è libera, mia sorella è andata a letto.
― No, Corey, questa volta preferisco un altro posto… il ‘nostro’ posto: quel vecchio faro dove ci siamo salutati, e dove tu mi parlasti molto dolcemente, un giorno. È troppo scomodo?
― No! E poi a Praga ho fatto i conti con climi freddi a tal punto che qui da noi mi sembra di morire di caldo. A che ora ci vediamo?
― Dieci minuti ti bastano?
― Anche cinque, arrivo subito. Ti amo.

Nonostante la notte limpida, come la prima in cui si erano dati appuntamento in quello stesso luogo, tirava una brezza fresca e profumata di salsedine. Damon lo attendeva di spalle, rivolto verso il mare fluttuante e un po’ agitato, coperto da una leggera giacca scura nell’immensa distesa di sabbia argentea, rilucente ai lattiginosi raggi della luna. La sua figura sottile era inconfondibile, immersa nel blu tutt’intorno. Mentre Corey si avvicinava, poco lontano il loro vecchio faro li guardava dall’alto come saggio e muto spettatore del loro incontro.
Quando solo pochi passi li dividevano, Damon si voltò verso di lui: il suo volto investito dal barlume cereo pareva quello di una statua neoclassica, triste e bellissimo. Corey colmò in un secondo la distanza e corse ad abbracciarlo strettamente a sé, affondando il volto nel suo collo, inebriandosi finalmente dei suoi capelli.
― Che bello rivederti, ― mormorò con un sorriso e gli occhi luccicanti. Si chinò per baciarlo ma il suo amante pareva strano, in tensione, e dapprima sembrò quasi sottrarsi. Poi lo lasciò fare, ma rispose blandamente, in un bacio a stampo che durò appena un attimo.
Corey lo guardò con un’ombra di irrazionale paura, temendo di sapere cosa lo stesse aspettando.
Ma perché? Proprio adesso…? Che cosa… che cosa aveva fatto di sbagliato, che cosa…?
― Hai detto che dovevi parlarmi? ― chiese con voce tremante.
Damon si sciolse da lui, tornò a fissare il mare di fronte a sé e nella sua espressione fu chiaramente leggibile una nota di dolore. Senza osare guardarlo, cominciò a spiegare: ― Sai, durante questi giorni in cui siamo stati lontani ho cercato di riflettere, perché io non sono più in grado di sostenere questa situazione. Sento di stare prendendo in giro te, Lena, e soprattutto me stesso, e non sto molto bene dentro. Prima di partire pensavo di dover assolutamente compiere una scelta tra te e lei, o meglio… il mio cuore ha scelto fin dall’inizio, ma io non posso seguirlo. E per questo ti chiedo di perdonarmi.
Corey chinò lo sguardo, amareggiato e con le lacrime agli occhi, tentando di parlare nel modo più saldo possibile. ― Ho capito, ma non devi scusarti, in fondo lo ho sempre saputo, solo che… sono impreparato. Non credevo che il momento di separarci fosse giunto così presto… ma probabilmente sarebbe stato lo stesso anche se fosse venuto tra molto più tempo, dico bene? ― Sorrise con tristezza, senza riuscire a frenare le lacrime che gli solcavano il volto spontanee. ― Qualunque cosa tu decida a me sta bene, purché ti renda felice. Tu… sei proprio sicuro di voler troncare ogni rapporto con me? Non sentirti in colpa per questa storia del triangolo, perché io ti capisco, e sarei disposto a continuare in questo modo, anche perché preferisco comunque dividerti con lei che non averti affatto.
― Ma per me no, Corey. Non riesco a convivere con un comportamento così meschino, e credo che in fondo sia meglio per entrambi che finisca adesso, prima che ci riabituiamo l’uno all’altro, ora che abbiamo avuto l’occasione di stare lontani. Prima che il legame diventi ancora più saldo, perché potrebbe essere peggio. Però lasciami spiegare una cosa…
Damon trovò finalmente il coraggio di incontrare il suo sguardo, anche se con occhi pieni di lacrime. ― Io sono un debole, moralmente. Un vile, se preferisci, un vigliacco che non ha il coraggio di sostenere quello in cui crede se ciò significa ribellarsi alla propria famiglia. Prima di partire mi sono figurato come sarebbe stata la mia vita se avessi trovato la forza di far capire a Lena che avrei voluto finisse una volta per tutte, tra noi. È stato come un sogno… pensavo quasi di farlo davvero! Poi, però, quando me la sono trovata davanti, è stato impossibile. Neppure lontanamente ipotizzabile. Ho immaginato la sua reazione isterica, le lacrime, le grida… ma non è lei che mi ha spaventato, è ciò che sapevo ne sarebbe seguito. Sarebbe andata a piangere da suo padre, come fa sempre, ed in breve sarebbe divenuta una questione familiare, e non più privata. Un problema comune, cui sarebbero scaturite ore ed ore di discussioni, riunioni, domande, terzi gradi e trattative… col risultato che alla fine ci avrebbero rimessi insieme irremovibilmente, con o senza la mia volontà, e non avrei che indispettito ancor più mio padre, che già non mi ama per quello che sono, figurati a tirargli uno scherzo del genere. Senza contare che non impiegherebbe un’ora per scoprirmi con te. Io, invece, cerca di capirmi… ho sempre desiderato piacergli almeno un po’, ― concluse, la voce incrinata in un lieve singhiozzo.
― Non ci riesco, io non ho mai avuto un padre. Posso solo immaginarlo.
― Non c’è scampo dalla mia vita, nell’etica in cui la mia ragione mi sta vincolando. L’unico modo sarebbe tagliare i ponti con tutto, crearmi una nuova vita, ‘diseredarmi’ spontaneamente da mio padre… e non ci riesco.
“Certo”, si disse Corey con una certa autoironia, “è ovvio che preferisca scegliere la sua famiglia piuttosto che me. In fondo quella è sicura e non lo lascerà mai, per quanto io possa avere delle riserve su questo punto, mentre non può sapere come si evolverebbe la storia tra noi, e forse non crede che valga la pena di farsi ripudiare dalla propria famiglia per gettarsi in qualcosa che non sa neppure se avrà un seguito, dico giusto? È un ragionamento razionale, intelligente.”
Si sentiva crudele, ma non poteva fare a meno di essere in collera con lui. Era la prima volta che provava quel sentimento nei suoi confronti, ed era disarmante, inaspettato… lo lacerava dentro. Sapeva che prima o poi sarebbe arrivato quel giorno, però nell’animo aveva forse sperato di indurlo a cambiare idea, a farlo innamorare di sé per sempre, a convincerlo a fuggire insieme e tante altre irrealizzabili congetture.
Quella decisione, invece, era la prova tangibile che Damon non solo non era mai stato sicuro di amarlo, ma soprattutto che aveva sempre dubitato di essere lui stesso amato da Corey. E questo, in un certo senso, lo offendeva.
― È chiaro, sì, ― ribatté con voce fredda. ― Però vorrei solo che tu valuti oggettivamente se valga la pena di riporre fiducia e rimanere fedeli chi ti costringe a prendere certe decisioni e si comporta in maniera dittatoriale per quanto concerne ogni ambito della tua vita. Capisco quanto sia forte la crudeltà del sangue, ma anche ad essa si pongono dei limiti, ed in questo momento… non hai idea di quanto io stia odiando tuo padre e tutto il mondo in cui sei impelagato, a dispetto del fatto che ti ha permesso di divenire quello che sei.
― Mi dispiace, ― si sentì dire, senza ricevere una reale risposta, ― per averti illuso e fatto soffrire. Ho trascorso momenti bellissimi, insieme a te, che non dimenticherò mai. Tu sei l’unica persona che io abbia mai veramente amato, però credo che in fondo questo rapporto sia stato anche distruttivo.
― È vero, però io rivivrei tutto, dall’inizio alla fine.
― Tu ti saresti risparmiato molti sospiri, ed io avrei continuato a vivere nella mia beata ignoranza.
Trascorsero alcuni minuti di pesante silenzio, in cui ognuno dei due rimase a fissare il mare, immerso nei propri pensieri.
― Ad ogni modo, sappi che se prima o poi tu dovessi cambiare idea, o tornare a cercarmi… io per te ci sarò sempre, ― gli disse poi Corey, riacquistando un tono più morbido. ― Possiamo comunque rimanere amici, no? Magari… riprendere come prima… come prima di quel pomeriggio.
― Io, Corey… io non credo che ci riuscirei più.
― Ma eri stato tu stesso a dire che non era cambiato niente, che c’era sempre stata quell’attrazione tra noi…
― Appunto! ― esclamò quasi in un grido, gli occhi lucidi e penetranti.
Corey rimase ammutolito. Avrebbe desiderato che tra loro fosse sopravvissuta l’attrazione intellettuale che per prima li aveva legati, ma si rese conto che sarebbe stata inscindibile dai sintomi amorosi che provava alla sua presenza. Forse era meglio davvero tagliare i ponti con tutto, però… ― Io non so se ce la posso fare, ― gli disse sinceramente.
― Mi dispiace.
― Tu sei proprio sicuro di farcela? ― gli venne da chiedergli per ripicca. ― A conti fatti non mi hai mai amato quanto ti amavo io, vero?
― Forse no, ― replicò lui impassibile, atarattico, ma coi muscoli del volto un po’ tesi, nella speranza di rendere per Corey meno doloroso il distacco mostrandosi odioso. Gli avrebbe serbato del rancore, forse, ma l’amore sarebbe sbiadito e forse tramutato in disprezzo, lasciando solo la passione, prima o poi destinata a svanire.
― È finita, dunque, ― sussurrò Corey con voce un po’ soffocata, incredulo delle proprie stesse parole. ― Quel pomeriggio, quando abbiamo fatto l’amore qui… non avrei mai pensato che fosse l’ultima volta. Non potremmo… non potremmo salutarci facendolo ancora una volta?
Damon scosse la testa, serrando le palpebre, come per cancellare in un attimo tutti i mesi che avevano trascorso insieme. ― No, sarebbe molto peggio. Anzi, ora è meglio che me ne vada.
Corey fu colto dal panico e d’istinto lo afferrò per il polso. ― Ti prego, aspetta ancora un attimo! È presto, abbiamo tutta la notte…
― No, ― ripeté lui con distacco, come se tutte le giornate trascorse insieme nella confidenza più assoluta fossero sfumate come la nebbia ai raggi del sole. ― Scusami, devo andare.
L’altro tentò di baciarlo di nuovo, ma Damon gli sgusciò via in un secondo e corse lungo la riva, lasciandolo con un grande vuoto dentro.
Ancora incredulo, Corey lo rincorse per qualche metro per poi lasciarsi cadere in ginocchio sulla sabbia umida, singhiozzando, guardando con gli occhi sfuocati la sua figura allontanarsi nell’orizzonte, sempre più lontana.

“È meglio così, in fondo”, si ripeteva Damon mentre correva più velocemente possibile, col vento che gli sferzava il volto agghiacciando le lacrime che lo rigavano. Non poteva continuare ad illuderlo come aveva fatto finora, gli aveva già rovinato la vita abbastanza. Ma allora perché quei singhiozzi? Perché quella sofferenza inconsulta… per aver rinunciato all’unica persona che lo avesse mai reso felice?
Perché comunque sapeva ciò che lo aspettava. Non c’era modo per lui di vivere se non seguendo ciò che suo padre gli imponeva, e Corey era stato una grande e bellissima ribellione… la sua ultima. Sebbene sentisse una parte di sé sgretolarsi dolorosamente, quella parte che racchiudeva tutta la sua indole onirica, infantile ed artistica, allo stesso tempo provava anche un senso di leggerezza. Un palliativo, forse, ma in grado di rassicurarlo, di confermargli che quella era la scelta giusta. Poiché era con il cervello di suo padre che avrebbe ragionato da allora in avanti. Poteva ambire a delle scelte personali solo avendo il coraggio di stabilire da solo la propria strada, ed era troppo smidollato per riuscirci.
Perciò ora soccombeva, rimettendosi alle decisioni altrui: in fondo era la giusta punizione. Si sentiva quasi sgravato dall’enorme macigno del senso di colpa, mentre ultimava gli ultimi lenti passi verso la villa di suo padre, l’impero… la prigione.
Sì, in fondo era meglio così anche per Corey, che meritava di stare con qualcuno che lo amasse in totale completezza, qualcuno molto più sano di mente rispetto a lui. Era sicurissimo che ce l’avrebbe fatta perché conosceva il suo amore: lui era puro diamante, inscalfibile, incorruttibile. Avrebbe superato quel brutto momento, nonostante tutte le sue filosofie contorte, lui lo sapeva.
Quanto a se stesso, decise che d’ora in avanti avrebbe vissuto in maniera del tutto apatica, ancor più di prima. Sarebbe caduto nella depressione, probabilmente, come sua madre. O forse ne era già affetto senza rendersene conto, ma di quello non si stupiva: era il loro destino.
Sorrise tristemente, sollevando lo sguardo verso il balcone della propria stanza, le tende che sventolavano alla brezza leggera dalla finestra lasciata socchiusa. Forse bastava solamente attendere una vita futura per trovare la forza, per tentare di scegliere la propria strada… che magari non sarebbe stata quella più giusta, ma pur sempre soltanto sua. In quella attuale ogni occasione era persa in partenza, anche la più grande che aveva avuto. Era come fosse già terminata e forse lo era, in un certo senso. Già tutta prestabilita.
Damon varcò la soglia di casa senza porvi troppa importanza, lanciando un’ultima occhiata al frangiflutti sotto la sua finestra. Ormai persino le lacrime erano svanite, non era rimasto più nulla.
Sì, quella era veramente una notte limpida.

-continua-

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Capitolo trentacinquesimo
You’re not alone

Il buio prolungato l’aveva reso un vampiro, dopo giorni di reclusione volontaria nella cripta. Quella mattina sua madre era riuscita ad entrare e per poco non aveva dato di matto, calciando le cianfrusaglie e cartacce spagliate sul pavimento per crearsi un varco e raggiungere la finestra. Dopo esservi riuscita spalancò vetri e persiane lasciando entrare la fresca aria di aprile e la luce splendente del sole, che subito gli ferì gli occhi ormai disabituati.
Alison acconciò una fugace sistemata al suo letto, sprangò di nuovo la finestra e tolse il disturbo come se egli non si fosse mai trovato all’interno della stanza addossato ad un angolo contro il gelido pavimento, con indosso una camicia sgualcita ed i capelli scompigliati, simile ad un vecchio cencio abbandonato.
Il sole non era suo amico, gli illuminava il carnato pallido rendendolo ancor più spettrale, il volto scavato dalle lunghe ore di sonno perduto, gli occhi consunti dalle notti trascorse a distruggersi tra i singhiozzi che parevano inestinguibili, tanto da non riprendere fiato. Probabilmente aveva addirittura perso qualche chilo, ammesso che ciò fosse ancora possibile, poiché aveva smesso di mangiare, dormire, andare a scuola. Anche semplicemente uscire dalla sua camera diveniva un’impresa insormontabile, senza contare che ultimamente neppure le gambe gli reggevano più per alzarsi in piedi.
Più ci pensava e più elaborava, più la sua mente ipotizzava finali diversi, parole non dette, articolando ogni possibile discorso per indurlo a cambiare idea, ma poi… poi la realtà tornava a sbattergli in faccia quanto fossero sempre stati divisi da una barriera invisibile, per quanto simili in alcuni aspetti dell’animo, ed aveva sempre saputo che non poteva verificarsi un epilogo differente per quel loro amore assurdo e sbagliato, che oramai era nato come un figlio deforme ma ugualmente desiderato.
Era rassegnato, in fin dei conti, solo che non faceva a meno di soffrire al pensiero che dovessero prendere strade differenti, di non poter più trascorrere assieme a Damon quel tempo ritagliato ma che per lui era d’importanza vitale. Ancor peggio era non potergli parlare, sapere che le chiacchierate filosofiche non avrebbero avuto seguito… non poterlo più accarezzare.
Era durata cinque mesi, la loro relazione, ed un tempo simile non si cancella nel giro di giorni. “Prima o poi starai meglio, ti passerà”, gli ripeteva la vocetta buona nella sua testa. “La cicatrice resterà sempre, ma smetterà di bruciare”. Però poi si chiedeva cosa avrebbe fatto quando sarebbe tornato a scuola, ammesso ne avesse avuto la forza: come si sarebbe sentito intercettandolo anche solo con la coda dell’occhio, magari captando la sua voce di sfuggita, sentendo qualcuno parlare di lui?
No, non poteva vivere in quell’inferno. Ed ecco che l’altra vocetta, quella cattiva, lo blandiva suadente indicandogli il coltello come la più facile liberazione da tutti i mali. Ma, sebbene il dolore fosse grande, qualcosa dentro gli ripeteva che non ne valeva la pena. Non si erano mai lasciati per odio, anzi, casomai per il contrario. Quindi anche solo per il ricordo di ciò che era stato valeva la pena continuare a vivere, benché fosse così difficile.
Quel pomeriggio il suo pianto si era finalmente placato. Non le lacrime, che ancora scendevano spontanee dagli occhi stanchi e arrossati, ma il respiro era tornato più regolare ed anche i singhiozzi, quasi del tutto estinti. L’aveva pervaso una sensazione di languore, mentre stringeva tra le mani il ritratto che Damon gli aveva regalato a Natale e le foto scattate insieme. Provava una nostalgia infinta di quei momenti, ma allo stesso tempo ne assaporava ora il dolcissimo ricordo ed era sicuro che, anche se ora soffriva per come il suo ex-amante aveva voluto finisse, negli anni a venire quell’esperienza gli avrebbe lasciato solo conforto nel cuore.
Due tocchi discreti alla porta lo distolsero dai suoi pensieri.
― Corey, sono Scott, ― si sentì rivolgere da una voce bassa e vellutata. ― Posso entrare?
Sollevò gli occhi verso la direzione da cui proveniva, valutando confusamente l’ipotesi per alcuni secondi.
Era stupefacente la costanza di quel ragazzo che si era presentato davanti alla sua porta ogni giorno, dacché non l’aveva più visto a scuola, ma Corey non si era mai alzato ad aprirgli. Al contrario era rimasto ammutolito (probabilmente persino la voce gli avrebbe scemato), senza ribattere una sola parola alle tante che invece riversava il suo amico al di là della stanza nel tentativo di confortarlo, e forse anche di riempire quel silenzio così opprimente per entrambi.

Scott non demordeva: aveva compreso fin da subito ciò che era accaduto, pur non osando farne parola con Damon poiché, sapeva, se ci avesse provato l’irritazione avrebbe raggiunto livelli tali da non permettergli di tenere a posto le mani, e non era il caso di picchiare un ragazzo così gracilino.
Ma avvertiva nell’aria che qualcosa era mutato, a partire dall’assenza di Corey il lunedì subito dopo la gita. Quel pomeriggio era passato a casa sua per informarsi se stesse bene e gli aveva aperto la sua sorellina visibilmente preoccupata.
― Non riesco a capire cosa gli sia preso, ― gli aveva confidato Britney dondolando le gambette sulla sedia, con un visino mogio che poco le si confaceva. ― È da quando è tornato a casa stanotte che sta chiuso in camera a piangere, e proprio non lo sopporto. Quasi fa stare male anche me.
― Al ritorno da Praga? ― aveva indagato lui.
― No, lì per lì sembrava tranquillo. Poi però è uscito di nuovo, ecco… dopo aver parlato al telefono con quel suo amico, Damon. Mi sembra si fossero dati appuntamento, quindi… ho dedotto che debbano aver litigato. Sai, quando va storto qualcosa con Damon, Corey diventa intrattabile. Praticamente un’altra persona. E adesso è ancora disopra e non fa altro che piangere, te l’ho detto.
A quel punto Scott era salito, aveva bussato e provato ad entrare, ma la porta era chiusa a chiave. Dall’interno non proveniva alcun rumore se non qualche sporadico, struggente singulto.
― Corey, ti prego… qualunque cosa sia accaduta non devi disperarti così. Ti prego, lasciami entrare… anche solo per permettermi di confortarti, ― gli aveva proposto parlandogli in modo dolcissimo, ma l’altro mai aveva manifestato reazione alcuna.
Da lì erano cominciati i suoi lunghi monologhi. Si sedeva a gambe incrociate davanti alla porta, vi appoggiava la fronte, a volte persino piangeva insieme a lui. Altre tentava di fargli forza, si offriva persino di aiutarlo a sistemare quella situazione e parlare egli stesso con Damon per convincerlo che non potesse finire in quella maniera, andando irrazionalmente contro i propri interessi.
Come aveva sempre ripetuto a se stesso, non era tanto di avere per sé Corey che gli importava, quanto di saperlo felice ed accanto a chi amava. Ma poi un’altra parte di lui ribatteva: “Dannazione, come potrà mai essere felice così?”
Corey non aveva risposto, al massimo si era limitato a caccialo, ma egli rimaneva ogni giorno fino a sera, almeno fin quando non rincasava la madre. Non sapeva quanto la sua presenza fosse tollerabile per l’altro: certo era che Scott non poteva fare a meno di stargli vicino. In caso contrario sarebbe impazzito!

― Corey, ti prego… ― provò a chiamarlo di nuovo anche quel pomeriggio, e la sua voce gli parve tale ad un’eco lontana, giunta appena in tempo dal mondo dei vivi a recuperare un’anima sprofondante nell’Ade.
Si rese conto di avere bisogno di quella voce, un bisogno strenuo ed assoluto, anche solo per non cadere nel baratro, e fu per questo che trovò la forza di sollevarsi da terra, benché le gambe gli tremassero e le ginocchia fossero sul punto di cedere. Appoggiandosi all’armadio ed al muro infine riuscì ad arrivare alla maniglia e girare la chiave: non appena la porta si schiuse ricadde simile ad una bambola senza equilibrio tra le braccia di Scott, il quale fu lesto a sorreggerlo mormorando sbigottito il suo nome.
Come gli sembrava fragile… tanto da spezzargli il cuore. Gli aveva sempre sortito quell’effetto, sì, ma in quel momento in modo ancora più accentuato. Le sue braccia filiformi aggrappategli al collo ed il suo corpo sottile acuivano in lui il desiderio di proteggerlo, di regalargli tutto l’amore che possedeva da anni e non aveva avuto occasione di esternare.
Ma come prima fase doveva riportarlo alla luce, farlo risalire dalle tenebre che si era intorno create, perciò lo strinse in un abbraccio forte e sicuro, in grado di sostenerlo ed infondergli calore. ― Corey, Corey… ― mormorò piano, come la più dolce delle litanie, alla bambola che immobile gli affondava il volto sulla spalla senza emettere suono, senza movimento: unico segno di vita il respiro leggero e tiepido che Scott avvertiva attraverso la camicia.
Lentamente lo trascinò verso il letto e ve lo adagiò sopra, e se stesso con lui, poiché pareva non sopportasse l’idea di farsi scorgere in volto o tanto meno d’incontrare il suo sguardo.
― Corey, ― lo chiamò ancora scostandolo gentilmente quel tanto che bastava per guardarlo, ma l’altro seguitava a chinare il capo di nuovo sull’orlo di una crisi, come se quell’abbraccio davvero possedesse il potere di sciogliere l’ultimo nodo nella sua gola.
― Guarda in che stato sei, ― sussurrò Scott con dolcezza, simile ad una madre premurosa. ― Di questo passo finirai per ammalarti, ed io non voglio che questo succeda, mi hai capito? So che è dura… so che stai male… ma devi reagire! Corey, mi senti? Per prima cosa hai bisogno di rimetterti in forze, poi…
Il ragazzo emise un singhiozzo schiacciandosi di nuovo contro il suo petto e lentamente riprese il pianto, ogni momento più disperato. Scott non riuscì a fare altro che accarezzargli con la mano i capelli in modo rilassante, deponendogli un lieve e delicato bacio sulla nuca e pazientando fin quando non fu più calmo. Poco dopo si rese conto che, tra un singulto e l’altro, Corey tentava di dirgli qualcosa: ― Scott, perdonami. ― Quella voce pareva estranea persino al suo legittimo proprietario, tante erano le ore, i giorni in cui era stata segregata, bloccata da un groppo di disperazione.
― E di cosa? Puoi piangere per tutto il tempo di cui hai bisogno, se questo ti farà stare meglio, sfoga ciò che senti. Io ti resterò vicino.
― È che non credevo… non credevo sarebbe stato così brutto, anche se sapevo che era inevitabile… Per qualche istante mi ero quasi illuso… che avrebbe potuto abbandonare tutto il resto per me. Ma era impossibile, io non sono mai stato importate per nessuno.
― Non è vero… non è vero, per me sei importante! Forse per te non ha alcun valore, o almeno non ne ha come se lo dicesse lui, ma non devi pensare una cosa del genere. Perché tu sei indispensabile come l’aria stessa.
A quelle parole Corey trovò il coraggio di alzare lo sguardo, cercando di accennare un sorriso che sul suo volto disfatto non risultò più di una lieve smorfia. Scott lo trovò ugualmente incantevole.
― Lui come sta? ― chiese il ragazzo dai capelli rossi in un sussurro appena.
L’altro si sentì interdetto, covando nell’animo un muto rancore al pensiero che, nonostante lo avesse ridotto in tale stato e fatto soffrire per mesi, i suoi pensieri andassero ancora comunque a Damon piuttosto che rivolgersi a chi stava facendo di tutto per aiutarlo, a chi lo consolava in quello stesso istante.
― Bene, credo, ― rispose tuttavia impassibile, cercando di non far trapelare il contrasto di emozioni che dentro lo infestava. ― A vederlo sembra non sia accaduto nulla, si comporta come sempre. Però, ad un occhio attento… o forse per me che conosco quale storia c’è dietro… beh, si potrebbe dire che in questi ultimi giorni il suo sguardo sia più triste del solito. Ma non è a me che dovresti chiedere, io non sono neppure fra i suoi amici, lo vedo solo di sfuggita in mensa.
― Capisco. ― Abbassò lo sguardo, rassegnato. ― Sai cos’è che mi fa più male di tutto? Sono i motivi… solo i motivi per cui ha sempre voluto che finisse così. Per suo padre che è una persona infima e manipolatrice e non merita neanche la millesima parte dell’affetto che Damon gli riserva e della fiducia che ripone in lui, al punto da sacrificare ogni inclinazione, sogno od aspirazione della sua vita per andargli bene, per compiacerlo. È un edipico fortissimo, il suo. ― Corey si staccò un poco da lui parlando con voce spezzata e piena di rabbia, stringendo le mani a pugno. ― Io lo ho sperimentato a sei anni con mia madre, ma poi ho lasciato perdere, dando sfogo a competizioni e ripicche. Il suo invece durerà sempre. Odio tutta quella situazione contingente: la sua famiglia, la vita perbenista e piena di false apparenze che gli ha ricamato intorno, e più di tutto odio quell’uomo che lo ha portato via da me!
Scott si stupì nel constatare come Corey parlasse del padre del suo ex-amante come di un proprio rivale. Forse gli era venuto naturale senza neppure rifletterci, ed in effetti a pensarci bene non era poi così assurdo.
― Che razza di animo si deve avere per rinunciare a realizzare se stessi al fine invece di divenire ciò che i nostri genitori volevano che fossimo? ― continuò il suo amico in un febbrile monologo, mentre egli al contrario ravvisava solo incoerenza nel comportamento di Damon, codardia, debolezza, mancanza di spina dorsale… chiedendosi al tempo stesso per quale delle due scelte occorresse più forza.
― Non ho mai capito se fosse amore nei confronti della sua famiglia o semplicemente paura di allontanarsene, di non sapersela cavare da solo nella vita. Forse un po’ l’uno e un po’ l’altro. Ma solo ora ho capito che, per quanto ci conoscessimo bene ed avessimo parlato tanto durante quelle misere frattaglie di tempo in cui siamo stati insieme, c’erano lati del suo carattere che sono sempre rimasti oscuri per me. ― D’improvviso rise sottilmente: una risatina inquietante ed ironica. ― Pensa che non ho mai neppure capito se mi amasse davvero o fosse soltanto convinto di amarmi… l’unica cosa che so è che era sincero, o almeno credeva di esserlo, tutte le volte che me lo ha confessato. Perché lui non poteva mentire, non coscientemente… non con quegli occhi.
Corey sbatté le palpebre e le sue ciglia si impregnarono di nuovo.
Autolacerandosi, con voce dolce ma tremante, Scott domandò: ― Desideri che provi a parlargli io? Cercherei di mettere una buona parola, di fargli capire come ti senti, di…
― Non finché possiedo una bocca ancora mia. ― Per un attimo nel tono di Corey balenò uno schizzo della sua tipica mordacità di un tempo. ― Credi forse che non gli abbia ripetuto tutto questo già molte volte e non possa farlo l’ennesima, se solo volessi? Sarebbe tutto fiato sprecato. E tu non osare avvicinarti a lui!
― Va bene, ― assentì conciliante. ― In fondo io non ho mai saputo nulla di voi, né del rapporto che vi legava. Non saprei neppure quali parole usare.
Corey sorrise mestamente, lo sguardo fisso sul punto del pavimento ove era poggiato il piccolo dipinto che lo ritraeva attorniato da una cornice di viole. In un certo senso Scott comprese cosa l’avesse tanto attratto di Damon per condurlo ad una passione così frenetica: solo osservando quel semplice particolare, una tale arte capace di trasmettere così tante emozioni ad un unico sguardo, dava quasi l’impressione di poterne carpire l’essenza ed i segreti più intimi congiungendosi con la persona che l’aveva creata.
Quel quadro era magnifico in primo luogo perché ritraeva Corey, ma lo era in tutto e per tutto, doveva ammetterlo.
― Posso raccontartelo? ― si sentì chiedere timidamente Scott. ― O ti fa soffrire?
Non sapeva perché, ma al contrario a tale prospettiva si sentì sgravare da un enorme peso. Forse perché quegli eventi appartenevano ormai al passato, od almeno così sperava; perché se erano finalmente degni di essere narrati, erano già divenuti storia.
― No, mi farebbe piacere, ― rispose con voce di velluto.
― Ci eravamo già incontrati in altre occasioni, ma la prima volta che abbiamo parlato davvero era un pomeriggio di ottobre e stava piovendo…
Finalmente riuscì a confidare quello che era accaduto tra loro: non la sera in cui Damon lo aveva abbandonato, ma prima… tutti i bei sentimenti provati, il batticuore, le lunghe chiacchierate, la sensazione di benessere mista a compiaciuto struggimento. E mano a mano che ogni emozione veniva catalizzata acquisiva magnificamente un senso, si trasformava in pagina scritta e pareva meno logorante. Assumeva la connotazione di passato, ma non era un passato triste, era solo esperienza, crescita… vita.
Si rese conto, parlandone, di sentirsi lentamente un po’ più sereno. Le lacrime si esaurivano, rimaneva solo uno sconfinato spossamento e desiderio di dormire, pur sapendo che la mattina seguente la situazione non sarebbe stata diversa, né egli si sarebbe sentito di nuovo felice, ma almeno con la speranza di guardare le cose in un’altra prospettiva.
Scott lo fece addormentare sopra la propria spalla, continuandogli il lieve massaggio dalla nuca alla schiena e cullandolo, di tanto in tanto, fin quando non si fu del tutto calmato.
Ora che avvertiva il respiro di Corey essersi fatto più lento e che le sue membra, a lui addossate, cominciavano a rilassarsi, inconsapevolmente si trovò per un istante di troppo a soffermare lo sguardo su quel corpo che tanto amava e desiderava. I suoi occhi sostarono sulla sua chioma rossa e scompigliata che gli disegnava deliziosi riccioli sulla spalla, da cui la camicia era scivolata lasciando nuda la pelle morbida e candida che velava sensualmente la fragile forma dell’omero ed i muscoli sottili. Le clavicole ed il collo su cui avrebbe tanto voluto depositare baci, imprimere segni, leccare, succhiare…
I tre bottoni slacciati dell’indumento permettevano di scorgere la vita sottile, e più sotto, oltre il leggero tessuto degli slip, la tenue rotondità dei glutei e la linea scavata, incantevole, delle sue cosce, il delicato disegno della muscolatura e le gambe slanciate. Perfette, erano assolutamente perfette, quelle gambe! Non aveva mai visto prima bellezza più assoluta, nulla mai lo aveva incantato a tal punto.
Distolse lo sguardo con un’ombra di colpevolezza. Che meschino che era: il suo amico si trovava in quello stato e lui non sapeva fare altro che soddisfare la propria lussuria visiva. Cercò dunque di relegare in un anfratto della propria mente le sensazioni che gli suscitava quel corpo seminudo appoggiatogli contro e lo distese piano tra le lenzuola, il capo sopra il cuscino. Corey assestò un poco la propria posizione senza tuttavia destarsi: i nervi a fior di pelle non gli avevano permesso di dormire da giorni, ed ora tutto il peso della stanchezza accumulata lo aveva fatto crollare.
Riposare gli avrebbe giovato anche alle emozioni, ne era sicuro. E per quel giorno, si disse, il suo compito era terminato. Inutile indugiare ancora ad ammirare le sue labbra umide e rosee, identiche a quelle di un angelo dannato, che invitavano ad assaggiarne l’assoluta morbidezza.
“Basta!” si disse sentendosi un verme, costringendosi ad alzarsi e voltarsi senza lanciare un’ultima occhiata. Si avviò verso la porta lasciandola socchiusa ed al piano inferiore raccomandò a Britney di assicurarsi che, una volta sveglio, Corey riuscisse a mandar giù almeno un po’ del cibo che la madre aveva lasciato loro per cena.

Scott fece ritorno direttamente a casa, dove come ogni giorno fu accolto da immensi ambienti dal design al limite del modernismo e talmente vuoti che ponendo bene l’orecchio poteva udire l’eco dei propri passi. Tirò dritto al piano disopra con la speranza di smorzare l’insopportabile tensione accumulata nelle ultime ore.
Il vano della doccia del suo bagno personale era spartano ma enorme, riparato da vetri opachi color fumo: perfetto per starci in due, abbracciarsi e provare posizioni… perfetto insomma per praticarvi del sesso, peccato che egli non avesse nessuno col quale sperimentare l’esperienza, giacché l’unica persona di cui gli importava aveva pensieri completamente differenti per la testa. Corey era lontano anni luce dal pensare a lui anche solo come qualcuno con cui sarebbe potuto nascere del tenero prima o poi, mentre lui, al contrario…
Lui impazziva!
Impazziva letteralmente!
Strinse i denti fin quasi a provare anche dolore fisico, mentre entrava nudo nella cabina, il corpo slanciato ed asciutto, la muscolatura ben proporzionata: non eccessiva ma comunque evidente e disposta in maniera armonica. Non avrebbe faticato ad esercitare il proprio fascino su buona parte del resto del mondo, ma non era quello che gli interessava.
Aperto il rubinetto dell’acqua calda, un potente getto gli si schiaffò addosso rimbalzando mille goccioline dalle pareti attorno: regolato come sempre al massimo dell’intensità da lui stesso. Dovette attendere solo pochi secondi prima che l’ambiente si colmasse di una nuvola di vapore latteo. Dio, come sarebbe stato bello, in quello stesso momento, avere Corey stretto lì tra le sue braccia! Serrò per un attimo gli occhi senza neppure rendersi conto di stare abbracciando aria di fronte a sé. Ah, avere tra le mani la sua vita sottile, il suo corpo bagnato e accaldato per l’eccitazione… far scorrere le proprie carezze ancora più giù, fino alla soda e levigata pelle dei suoi glutei e poter finalmente toccare le sue cosce.
Scott boccheggiò, cadendo – non seppe come – in ginocchio, abbassando d’istinto sul serio la mano, ma sopra il suo membro già insopportabilmente duro ed eretto al semplice pensiero. Gli sembrava di soffocare, ansimando per prendere aria, col vapore sempre più fitto e l’acqua quasi bollente che gli scrosciava sulle spalle arrossandole, colando lungo il resto del corpo.
― Ah, Corey! ― gli uscì persino un grido.
Si impugnò il pene a mo’ di coltello cercando di coprirne quanta più superficie possibile, e passò il pollice sopra il glande scoprendolo dalla pelle sottile, muovendosi con frenesia, con lo scopo di liberarsi il prima possibile. Prese a masturbarsi pompando sempre più forte su e giù, ritmicamente, fin quasi a farsi male.
E intanto immaginava il suo corpo sotto di sé, anzi, aggrappato a lui, immerso nel godimento ed intento a chiedergli di più. La testa gli girava e tremava tutto, tanto che neppure il braccio lo resse e stramazzò a terra, contro la parete infuocata dall’acqua che vi batteva. Pervaso dal furore ed in preda all’eccitazione non fece che dimenarsi peggio di un animale in calore, carezzandosi febbrilmente con l’altra mano lungo petto e torace immaginando che fosse Corey a farlo, vedendosi violare quella sua bocca divina, urlando e gridando il suo nome, il volto contratto dalla sofferenza, la gola che non smetteva di singhiozzare e gli occhi di piangere.
Quando venne, in un doloroso e violento fiotto biancastro contro le piastrelle, aveva i capelli di Corey nella mente. Tutto era finito, solo l’immensa spossatezza rimaneva, impedendogli di sollevare anche un solo muscolo, solamente i suoi occhi non smisero di lacrimare.
“Non sono che un miserabile porco!” si accusò avvilito, vergognandosi enormemente di dover perdere il controllo in tal modo. Ogni giorno mantenersi saldo di fronte a Corey era più difficile: cosa avrebbe fatto se prima o poi non fosse riuscito a tenere a freno i propri istinti? Pregava di non doverlo sapere, chiedendosi perché mai Iddio o chi per lui avesse messo sulla terra una simile creatura.
“In fondo non sono migliore di tutti gli altri”.

― Su, coraggio! ― Scott gli strinse la mano nella propria, nascoste tra i loro due corpi, mentre i due ragazzi si trovavano fianco a fianco davanti al liceo con gli zaini in spalla.
― Non c’è bisogno che mi prendi per mano: so attraversare la strada da solo, ― ribatté così fintamente sprezzante, senza tuttavia sfilarla da quella del suo amico.
Quella mattina Scott gli aveva telefonato chiedendogli se avesse voglia di andare a scuola insieme a lui e, dopo aver ricevuto una specie di grugnito come risposta affermativa, era passato a prenderlo in auto come era già avvenuto la sera di Capodanno. Nonostante fosse un particolare non degno d’importanza, a Scott aveva dato un immenso piacere poterlo accompagnare, tanto che per un attimo si era davvero sentito come se Corey fosse stato il suo ragazzo.
Ma ora tutto stava nel fargli trovare la forza di entrare, anche con il rischio – desiderio? – di rivedere Damon, poiché certamente, sebbene egli facesse del proprio meglio per non darlo a vedere, in quel momento si trovava in uno stato emotivo di grande agitazione, pallido e nervoso, ed il cinismo che si accentuava in lui in quelle specifiche occasioni ne era l’ennesima conferma.
― Avanti, muoviti, altrimenti arriveremo in ritardo! ― gli intimò brusco Corey come se il problema non lo riguardasse personalmente, strappandogli un lieve sorriso. ― Sono già indietro con i compiti, non voglio anche un richiamo per non aver rispettato l’orario.
Entrarono con disinvoltura ed avanzarono verso la classe di Corey ancora tenendosi inconsciamente per mano, senza neppure accorgersi di alcune occhiate bieche che gli giunsero dai gruppi omofobici o quelle compiaciute delle ragazzine. Di Damon non scorsero neppure l’ombra, ma di questo Scott non si stupì, poiché ultimamente lo si vedeva sempre di meno in giro per i corridoi.
Entrò insieme a lui anche quando arrivarono nella sua classe, della quale tra l’altro aveva già conosciuto gran parte dei ragazzi durante la gita scolastica. Corey neppure riuscì a raggiungere il proprio banco che subito i suoi compagni gli si fecero attorno gravidi di saluti ed esclamazioni di giubilo.
― Finalmente sei tornato!
― Abbiamo saputo che sei stato poco bene…
― E adesso come ti senti? ― gli chiese Marc quasi premuroso, creandosi un varco tra gli altri a spintoni. ― Credi di essere un po’ guarito?
Corey arrossì all’apparenza senza un motivo, riuscendo solo ad annuire con poca convinzione. ― Ad ogni modo non sono contagioso.
― Vedrai che con il tempo ti rimetterai completamente, ― aggiunse quindi anche John.
― Va bene, grazie per l’interessamento, ora vi dispiace lasciarmi andare a sedere?
Scott alzò gli occhi al cielo in un sospiro sollevato, sperando di poter considerare quella scontrosità un ritorno al suo comportamento di sempre: afflitto da qualsivoglia tormento, ma allo stesso tempo superiore a tutto.
Il ragazzo intanto si fece strada verso il proprio banco dove si accomodò a cercare nello zaino il solito libro di poesie dalle pagine ormai consunte, tante erano le volte che lo aveva sfogliato, ignorando altamente la piccola folla addensataglisi attorno.
― Ecco, noi… ― si azzardò a dirgli Kevin porgendogli un mazzetto di fogli e quaderni, ― ti avremmo messo da parte tutti i compiti ed il programma svolto in questi ultimi giorni. Se c’è qualcosa che manca o di cui hai bisogno, chiedici pure.
― Oh… beh, vi ringrazio molto. ― Corey prese in mano il materiale sinceramente stupito da una tale sollecitudine da parte loro.
― Figurati. Tu ci hai aiutato così tante volte che questo era il minimo.
― Ed ecco, noi avremmo anche questo, ― seguitò poi una sua compagna a nome del gruppo di amiche, appoggiando sul banco una confezione a forma di cuore di biscotti alle mandorle, adornata da un fiocco viola chiaro. ― Un piccolo regalo di bentornato.
― Co-come? ― A quel punto non sapeva più se sentirsi commosso o sospettoso. ― Ma sono stato assente solo una settimana.
― Beh, a noi però è parsa un anno intero! Ci sei mancato tanto. Venire a scuola non era più la stessa cosa senza di te.
― Smettetela di prendermi in giro, okay? ― replicò Corey sprezzante.
― Bentornato! ― gli augurò ancora sorridente Marc, appoggiandogli amichevolmente la mano sulla spalla prima di raggiungere la propria postazione assieme agli altri.
Corey alzò uno sguardo disorientato verso Scott come in cerca di una spiegazione, ma il ragazzo non seppe che scrollare le spalle sorridendo enigmatico.
― Così chi non muore si rivede, Jones, ― richiamò nuovamente la sua attenzione il tono gracchiante e un po’ ironico di Paul, dal banco alla sua destra. ― Dopo mesi.
― Adesso basta con le esagerazioni! ― sbottò lui.
― Con il corpo c’eri, ma con la mente… credo avrebbero dato chissà cosa per sapere su quali lidi stavi vagando… e soprattutto con chi.
In un impeto che gli fece gelare il sangue, Corey si rese conto che tutta la sua classe (e forse non solo) aveva sempre saputo perfettamente di quale natura fosse quel male che lo aveva ridotto in stato larvale durante quei giorni e gli avesse tolto il sonno e la calma per tanto tempo, pur ignorando l’identità della controparte.
― Sai, negli ultimi due numeri non abbiamo venduto neppure la metà delle copie, ― riprese Paul ripulendosi con un fazzoletto di stoffa il naso arrossato dalle allergie primaverili. ― Sarà colpa della nuova copertina: l’avevo detto da subito che non era accattivante, ma hanno preferito ignorarmi. Per quanto mi sia difficile ammetterlo e per quanto ti detesti e ti invidi, Jones, magari… se tu fossi stato presente avresti convinto tutti a mantenere quella precedente.
― Dove vorresti arrivare col tuo contorto discorso, mi stai per caso rinvitando in redazione? Che senso avrebbe, ora che manca meno di un mese al termine della scuola ed un solo numero al Giornale?
― Sì, ma il più importante! ― si infervorò l’altro, a discapito della congiuntivite che gli fece ancor più lacrimare gli occhi. ― Usciranno gli annuari, ci sarà da recensire il ballo…
― Sai bene che non prenderò mai parte a quella ridicola parata dandy!
― Daresti almeno alla scuola la possibilità di leggere il tuo commento sul viaggio a Praga?
― E cosa c’è da dire che già non si sappia sulle guide turistiche? ― Vagamente infastidito, Corey scostò lo sguardo da lui. ― Sentimenti, emozioni, sensazioni…? Dovrei forse parlare di sassolini che invece di esaudire desideri li mandano in frantumi? Di chi avrei voluto ci fosse ed invece non c’era?
― Potresti invece, ― si inserì una terza voce la cui presenza era ormai data per scontata, ― parlare di chi c’era.
Alzò di nuovo gli occhi verso Scott, un po’ avviliti e un po’ lucidi.
― Sai, Corey… in fondo non credo tu sia proprio solo come hai sempre creduto. ― Ed accompagnò le parole con un sorriso pieno di calore.

-continua-

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Epilogo
Dreams of yesterday

Ottobre 1998
Era pomeriggio inoltrato, ormai: gli ultimi bagliori del crepuscolo lasciavano spazio alla fuliggine notturna dei caminetti sbuffanti su un cielo bruno ma limpido, tinteggiato di stelle. Si accendevano le luci ambrate dei lampioni lungo i viali del centro, ed i colori nelle vetrine dei negozi divenivano più vividi.
Quasi traspariva un’atmosfera d’altri tempi dall’entrata ad arco acuto della piccola libreria che esponeva in vetrina saggistica nuova di zecca ed i best-sellers del momento, ma che racchiudeva, riposti negli anfratti degli scaffali, anche vecchie edizioni di classici dalla copertina consunta e tomi antichi di secoli.
A meno di mezzora dalla chiusura, la clientela si era ormai diradata: rimanevano solo pochi avventori abituali, topi di biblioteca che curiosavano tra gli esotismi non ancora contemplati. L’ambiente trasmetteva un’aria intima e familiare, ed era di dimensioni tanto ridotte che Corey poteva abbracciarlo tutto in un unico sguardo rimanendo seduto su quella sorta di sgabello traballante che gli era stato rifilato come sedia. Certo, con quello che raggiungevano le entrate, il suo datore di lavoro non poteva permettersi di farlo stare più comodo; e comunque preferiva detraesse il meno possibile dal suo stipendio, considerando che l’uomo era stato tanto fortunato da trovare qualcuno disposto a farsi pagare una miseria per trascorrere intere giornate a governare quella catapecchia.
Catapecchia, sì, ma Corey la adorava. Adorava la consistenza della carta impolverata e ingiallita, il profumo delle copertine di pelle, il calore che trasmetteva il legno degli scaffali ed i piccoli, meravigliosi affreschi del soffitto. Quel luogo era in grado di conferirgli tranquillità come pochi altri, anche perché nei giorni in cui non c’era affollamento poteva trascorrere tutto il tempo nella sua attività preferita: leggere.
Era proprio tramite questa che arrotondava lo stipendio, scrivendo mensilmente recensioni sui libri in uscita per una rivista letteraria. I suoi giudizi non erano mai del tutto negativi senza tuttavia risultare neppure smaccatamente lusinghieri: mordaci sì, ma non offensivi, e pregni di qualsiasi rimando in grado di captare l’attenzione dei lettori di medio-alta cultura. Anche per questo continuava ad ottenere un discreto successo, e di ciò non poteva che sentirsi nel proprio intimo soddisfatto.
― Insomma, l’università proprio no, eh? ― chiese Dominique sedutogli accanto su un altro di quegli scomodi sgabelli, intento nel frattempo ad accendersi una sigaretta.
― Sei pazzo, dico!? ― lo fulminò Corey strappandogliela di bocca. ― Qui è vietatissimo fumare: c’è anche il cartello, non lo vedi?
Il suo amico francese sbuffò senza tuttavia prendersela più di tanto, nella sua perenne e serafica condiscendenza. ― Pensavo che la nicotina avrebbe messo la ciliegina sulla torta a quest’atmosfera bohemien, mon ami. Mancherebbe poco per sentirsi nella Sorbonne di fine ottocento.
Corey sorrise compiaciuto, a malapena intristito da alcuni flash di ricordi che quella gag della sigaretta gli aveva riportato alla memoria.
― Chiedevo se veramente hai intenzione di non proseguire gli studi, con la mente che ti ritrovi.
― Proprio no, per ora, ― gli rispose convinto. ― A parte che non ho i soldi.
― Quello non è un problema, lo sai.
― Ti ripeto che non voglio assolutamente dipendere da nessuno. E poi al momento non è nei miei interessi. Non mi piace che qualcuno tenti di guidare la mia cultura, lo sento come una forma di plagio. Preferisco scegliere io a cosa interessarmi, punto e basta.
Presero una sorsata di caffè dalle confezioni da asporto che tenevano in mano, guardandosi svogliatamente intorno. La calma e la serenità di un simile momento erano quasi commoventi.
― Sei stato bravissimo ieri sera, ― gli disse poi Corey con affetto. ― E incantevole. Se ci ripenso mi vengono ancora i brividi.
― È merito di un talento naturale, mon cher, e magari anche di dodici anni di lezioni di violino.
Avevano assistito ad un suo concerto in teatro proprio la sera prima. A dire il vero, nonostante avesse trascorso gran parte dell’estate assieme a Scott e alla sua comitiva, Corey era venuto a sapere solo in quell’occasione che Dominique era un violinista, ed anche di un certo livello, a quanto pareva.
Le sue predisposizioni nei confronti di quel ragazzo non erano mutate rispetto all’impatto della festa di Capodanno, ed in quel tempo aveva stretto amicizia con lui piuttosto che con gli altri (Scott a parte, naturalmente), forse perché si somigliavano, perché gli piaceva quel modo di fare sfrontato ma dolce al tempo stesso, quello spiccare impeccabilmente dal resto della folla. Forse per il fatto che un po’ nell’aspetto somigliasse a Damon, nonostante il sorriso più malizioso: lo stesso corpicino minuto e grazioso.
Gli era sempre piaciuto, quel francesino, e pure molto. Non come amante magari, anche se non ne dubitava le indiscusse virtù, ma più che altro come amico. Erano in sintonia perfetta e trovavano piacevolissima la reciproca conversazione.
― Ho notato una lacrima rigarti il viso quando ho suonato Swan Lake, ― mormorò Dominique. ― Era per qualche ragione in particolare?
Corey scosse il capo, mentendo velatamente. ― Ammetterai che è una melodia che fa piangere in sé per sé. Tu invece, ― cercò poi di sviare l’argomento, ― quest’oggi sembri molto felice.
― È perché ieri sera, alla fine del concerto, dopo che siete passati a trovarmi in camerino, ho ricevuto la visita di una persona che non vedevo da quando avevo sedici anni: un mio compagno al collegio che frequentavo in Alvernia prima che ci trasferissimo qui. Non ero mai stato con nessuno prima di lui. ― Nel confidargli tali parole arrossì come una verginella che immagina la sua prima volta. ― E forse, si può dire… che non abbia più avuto storie importanti come quella che c’era tra noi. ― Prese un altro piccolo sorso di caffè con aria trasognata, lo sguardo perso in un punto imprecisato dell’alto soffitto a volta. ― Mi ha fatto così piacere incontrarlo di nuovo…
Corey sorrise impercettibilmente, ricordando per un attimo le fantasie che Dominique gli aveva confidato la sera in cui avevano ballato insieme.
― Credo che alcuni rapporti, anche se poi si evolvono e maturano, com’è naturale per tutto, in un certo senso siano destinati a restare per sempre. Per alcuni periodi si allontanano, poi ritornano. Tornano sempre, anche se con forme diverse. ― Il francesino sgravò la profondità del proprio pensiero con una risatina leggera. ― Ecco, damnation, adesso sì che avrei proprio bisogno di una sigaretta!
In quel momento il pesante portone a vetri si schiuse timidamente attirando la loro attenzione: cosa assai insolita per quell’ora di sera. Prima della persona stessa spuntò all’interno un mazzo di cinque rose rosse avvolte da una carta increspata dello stesso colore, e solamente dopo si fece avanti il giovane alto che le portava: aveva addosso vestiti semplici, jeans e maglietta con una giacca chiara da mezza stagione. I capelli lisci e neri, piuttosto lunghi, gli lambivano il collo.
Se loro due non erano cambiati affatto da un anno a quella parte – Corey se possibile ancora più attraente nei suoi riccioli ramati e Dominique sempre con quel suo taglio a metà tra l’artista pop-art ed il finto bravo ragazzo – Scott aveva acquisito nel volto tutta la dolcezza che fino ad allora era stata latente.
Senza badare agli sguardi indifferenti o straniti dei pochi clienti rimasti, con un sorriso baldanzoso si fece avanti verso il bancone. ― Salve ragazzi, ― li salutò entrambi. ― Ciao, amore! ― si rivolse poi a Corey in modo ancor più affettuoso, porgendogli i fiori. ― Questi sono per te.
― Ma ti pare questo il momento ed il luogo!? ― lo rimproverò sottovoce mentre assumeva in volto lo stesso colore della sua chioma, provando tuttavia un’inspiegabile gratificazione.
Accettò comunque ben volentieri le rose, di fronte al persistente sorriso del proprio compagno. ― Perché mai, dunque, tanta sollecitudine? ― volle però informarsi.
― Beh, intanto perché esisti. E poi manca appena una settimana al tuo compleanno.
― E quindi cominci fin da ora. Logico, ― lo punzecchiò Dominique.
Scott gli propinò una linguaccia. ― Non sperare che venga ad ingaggiarti per una serenata al chiaro di luna, troverei musicisti di gran lunga più preparati!
― Buon per me: io la notte al chiaro di luna faccio cose molto più divertenti che venire a suonare sotto la sua finestra!
― E finìtela, una volta tanto, siete banali.

Era già calata la notte quando Corey parcheggiò sotto il grazioso palazzo in stile liberty non lontano da dove lavorava. Scese dall’auto richiudendo la portiera con un colpo secco, i capelli e la giacca rosso scuro leggermente sventolanti alla fredda brezza. Scott, seduto dal lato del passeggero, lo seguì poco dopo.
All’ex-giocatore di football metteva una certa inquietudine entrare di nuovo in quel vecchio ascensore dallo stampo ‘anni venti’, malandato per quanto pittoresco, tutto incassato in una cancellata arricciata in ferro battuto. Quando era in movimento erompeva sempre in strani cigolii e stridori poco rassicuranti, ma visto che al suo amico non era mai passato il disgusto per l’attività fisica (non che ne avesse bisogno, si intende: non aveva aumentato neanche di un grammo i suoi quarantasette chili), a Scott non restava che adattarsi. Ogni volta si sentiva ribattere: ― Fosse davvero pericoloso non lo darebbero per funzionante. Tu comunque vai per le scale, se preferisci. Ci vediamo sul pianerottolo.
Ma lui non lo ascoltava: gli piaceva troppo ogni momento che trascorrevano insieme, tanto che, anche qualora la struttura fosse crollata, giudicava valesse la pena rischiare.
Giunti fortunatamente indenni al terzo piano anche per quella sera, Corey sfoderò il suo portachiavi a forma di serpente e dischiuse il portoncino bianco di fronte a loro. L’appartamento era di dimensioni modeste: camera da letto, bagno ed un salottino con l’angolo cucina, il tutto arredato in modo graziosissimo e volutamente un po’ retrò. Di gran parte delle suppellettili era impossibile trovare cloni tanto erano ‘personalizzate’, come ad esempio la credenza color lilla con gli sportelli che riportavano disegni di frutti autunnali, ove erano ammassati quaderni assieme a scatole di cereali e marmellate di amarene, la bella libreria dalle forme armoniose in legno scuro accanto al morbido divanetto cobalto, od il tappeto con su riprodotta la Colazione sull’erba di Manet.
Tutta la stanza principale era adornata con lunghe lampade dalla forma di fiori di vetro colorato, dagli steli in ferro dipinto avvolti di foglie e tralci di rose. Di sera conferivano all’ambiente effetti cromatici contrastanti molto suggestivi.
Spostandosi nella camera, col letto a due piazze incastonato in una spalliera verde-azzurra, si notava il sinuoso armadietto color panna dalle decorazioni verdi simili a fili d’edera, i tanti comodini, più o meno alti, dai colori chiari e pieni di disegni a tema: animaletti, stagioni, luoghi… minuziose porte verso altri mondi, tutti straripanti di libri. C’era anche una scrivania dalle maniglie metalliche che reggeva perennemente il portatile, con accanto una seconda libreria alta fino al soffitto ed un piccolo comò dotato di specchiera, adibito più o meno alla stessa funzione.
In effetti tutto era invaso dai libri, in quella casa, o comunque da carte, manoscritti e pezzi di quaderni strappati che riportavano appunti comprensibili solo a colui che li aveva concepiti. Regnava sempre un beato disordine, almeno per quanto riguardava tale materiale, tanto che Scott spesso lo prendeva in giro insinuando che prima o poi sarebbe affogato in quel mare di carta. Ma era così che a lui piaceva, quindi se per assurdo fosse accaduto, era solito rispondere, sarebbe stato un buon modo di morire.
― Vado un attimo a mettermi comodo e poi arrivo subito, ― gli disse Corey avviandosi nella stanza adiacente e lasciando socchiusa la porta mentre cominciava a slacciarsi la camicia.
― Posso intanto iniziare ad apparecchiare la tavola?
―Fa’ pure.
Scott gli lanciò uno sguardo furtivo e compiaciuto con la coda dell’occhio. Anche se all’apparenza pareva sempre lo stesso, in realtà sapeva bene che nell’animo Corey era molto cambiato, pur senza aver perso quella pungente sagacia che tanto amava in lui: aveva smesso di essere in collera con il mondo e si era attenuata quella forte misantropia che spesso gli aveva messo i bastoni fra le ruote. Forse per merito della lontananza di sua madre, forse perché finalmente i torbidi anni del liceo erano rimasti alle loro spalle come inghiottiti da un buco nero. In qualche modo era cresciuto, e Scott era convinto, o almeno sperava, che fosse anche più sereno.
A volte mentre era in sua compagnia si trovava a sorridere come un ebete, arrossendo inconsultamente. Benché fossero trascorsi più di tre mesi ancora non gli pareva vero che il suo adorato angelo, che l’aveva defraudato di tutte le maschere appioppategli nel corso degli anni e reso nudo di fronte a se stesso, gli stesse ora facendo la grazia di accondiscendere ai suoi desideri.

* * *
Era la prima settimana di luglio, lui e Corey stavano tornando in auto da una breve gita organizzata durante il weekend allo scopo di scampare all’insopportabile calca che si addensava ogni estate sulle loro spiagge, gli ombrelloni ammassati, i surfisti che davano spettacolo a qualsiasi ora del giorno e la marea di turisti a caccia di avventure passeggere.
Avevano visitato un grazioso paesino di mare almeno cinque volte più piccolo della loro città, sul cui porto ondeggiavano barche consunte e pescherecci assediati da alghe e salsedine. Lì il litorale era ampio e quasi del tutto deserto, coperto di sabbia dorata ed ancora dotato di quella suggestiva fatiscenza tipica del mare d’inverno. Nel pomeriggio avevano passeggiato per i viottoli gremiti di negozi caratteristici e lungo le bancarelle dei mercatini, dove Scott aveva acquistato una cospicua quantità di dolcetti di marzapane e riempito Corey di svariati regali tra cui gadjets e souvenir in ricordo della loro prima piccola vacanza insieme.
Ora si trovavano sulla via del ritorno, costeggiando il lungomare dopo appena tre quarti d’ora di viaggio. Alla loro destra il sole calava lentamente dietro l’oceano ammantandolo di striature ambrate, sotto un cielo che sfumava nel viola limpido del primo tramonto.
Scott era alla guida, compiaciuto e soddisfatto come testimoniava anche il leggero, quasi impercettibile sorriso che gli aleggiava sul volto ed al quale il suo amico, lo sguardo un po’ assorto perso al di fuori del finestrino, non aveva ancora posto attenzione. Egli approfittò di quella calma idilliaca per osservarlo di sottecchi ancora una volta: fosse stato per lui non gli avrebbe mai tolto gli occhi di dosso, come d’altronde aveva fatto per tutto il giorno.
Era magnifico anche in quel momento, i capelli scompigliati e raccolti alla meglio con un nastro dietro la nuca, dal quale erano più le ciocche libere che quelle legate, con indosso una semplice maglietta a righe sottili rosse e bianche, ed un paio di jeans aderenti che gli arrivavano a metà polpaccio lasciando scoperte le splendide caviglie. Avevano preso un po’ di sole entrambi ma, mentre a lui era bastato poco per acquisire la sua solita abbronzatura dorata, Corey si era appena sfumato il volto di un colorito più roseo che se non altro gli conferiva un aspetto meno cagionevole.
― Cos’hai da guardare? ― si sentì chiedere all’improvviso a mezza voce.
― Guardavo il mare, mica te! ― ridacchiò lui.
― È meglio se guardi la strada, sai?
Scott sospirò, volgendo gli occhi di fronte a sé. Com’era bello quel momento del giorno, mentre la canicola delle ore più torride si dissipava nella fresca brezza della sera, abbandonando la sua scia sonnolenta sulle abitazioni e sulla natura intorno.
― A casa c’è qualcuno che ti aspetta? ― chiese poi a Corey.
― Tzk, figurati. Mia sorella è partita con la famiglia di una sua amica e mia madre in vacanza con l’ennesimo boyfriend.
― Ehm… allora… che ne diresti di venire da me? Sono solo anch’io, sai, mio padre in questi giorni è in Europa per lavoro.
Corey annuì vagamente. ― Okay.

Non era la prima volta che si trovavano soli in casa di Scott, ma tra loro non era mai accaduto nulla di compromettente, neppure un bacio. Continuava a desiderarlo, certo, con tutto se stesso, ma per quanto possibile si imponeva di contenersi perché non voleva assolutamente perdere la sua amicizia. C’erano momenti, purtroppo, in cui il solo guardarlo gli stimolava reazioni fisiche che non sempre riusciva a controllare, ed era accaduto più volte che nel bel mezzo di una conversazione fosse costretto ad assentarsi per esigenze ‘di forza maggiore’.
Tuttavia non aveva il coraggio di reintrodurre l’argomento, nel timore che Corey potesse offendersi o addirittura infastidirsi, e soprattutto perché, sebbene fosse trascorso del tempo e cercasse di non darlo a vedere, probabilmente si sentiva ancora molto scosso per come era finita con Damon.
D’altra parte sperava che la lontananza da lui gli avesse giovato: anche quelle poche volte che lo aveva scorto di sfuggita nei corridoi della scuola od anche solo incrociato il suo sguardo erano comunque state destabilizzanti per Corey, ognuna come una piccola pugnalata.
Non si erano più parlati dopo quella maledetta notte in cui Damon aveva stabilito di demolire il loro rapporto, non avevano mai avuto la possibilità di chiarirsi a mente lucida, almeno stando a quanto il suo amico gli aveva confidato. Una parte di lui desiderava farlo, ma poi era troppa la paura del suo rifiuto, o di metterlo in difficoltà, per trovare la forza di provarci. Quindi si era limitato a guardarlo da lontano, facendosi male, cercando di intuire dal suo volto quasi sempre impassibile quali fossero in realtà i sentimenti nel suo cuore.
Scott intuiva i momenti in cui Corey pensava a lui: lo sguardo diveniva nostalgico, la voce, se rispondeva di sfuggita alle sue domande, acquisiva una tonalità dolorosa, persa in tempi e luoghi lontani, in chissà quale esperienza vissuta insieme. Era evidente che sentisse ancora fortissima la sua mancanza, ed egli a quella consapevolezza non riusciva a fare a meno di provare ancora una grande rabbia dentro di sé, mista alla gelosia.
Ma ultimamente, appunto, quei momenti di malinconia erano divenuti sempre meno frequenti.
L’ultimo esame si era ormai concluso da un paio di settimane e pochi giorni prima erano stati affissi i risultati definitivi: il liceo era terminato per sempre e con esso il suo piccolo, gretto mondo di popoulars, ousiders, privilegiati, sfigati, bulletti, Ceer-Leaders e qualsivoglia categoria sociale rientrasse nel genere. Era la fine delle interminabili mattinate trascorse sui banchi troppo stretti per contenere l’euforia di sogni non più adolescenziali, la fine delle asfissianti ore di educazione fisica e di qualsiasi imposizione culturale, di quel mondo fatto soltanto di false apparenze. Davanti a loro si apriva uno spaventoso ed inebriante abisso di libertà, ed erano pronti a gettarvisi a braccia spiegate.
In quanto a sé, Scott si riteneva abbastanza fortunato ad essere stato promosso con novanta su cento, visto che da quando non dedicava più tante ore agli allenamenti gli era rimasto molto più tempo anche per studiare. Certo non si poteva affermare lo stesso per il povero Paul Richmond: come dimenticare il colorito livido-bluastro del suo volto quando aveva scoperto che Corey, al contrario di lui, aveva anche ottenuto la lode? Girovagava per tutta la scuola in preda all’ansia, affogando nel nebulizzatore ogni due parole e continuando a gridare: ― Non c’è alcuna giustizia, a questo mondo, i professori non sono altro che un branco di corrotti! Lui ha disertato le lezioni di ginnastica per cinque anni mentre io ho sempre fatto il mio dovere, e con questo mi ripagate?
Ed il bello era che quando era andato a lamentarsi in sala insegnati sul perché il suo compagno avesse infine ottenuto un giudizio migliore del suo, gli fu scherzosamente risposto: ― Perché Jones ha dei gran begli occhioni!
E forse, pensava Scott, quella risposta non si allontanava poi tanto dalla verità, a parte il fatto che Corey avesse indiscutibilmente una vivacità mentale di gran lunga più spiccata rispetto all’altro.
Per il resto le votazioni si erano rivelate più o meno mediocri: Mandy e la sua banda di smorfiosette avevano mantenuto alte le proprie reputazioni da somare senza avventurarsi al disopra del sessantacinque, Lena si era sforzata di trascinarsi al settanta, mentre Damon, con grande stupore e delusione di tutti (specie del padre, probabilmente, anche se mai avevano udito voci in proposito), dopo cinque anni con una media dell’otto non aveva ottenuto più di settantaquattro.
Non era sua intenzione ipotizzarlo in senso esplicito, ma Scott si chiedeva se in quel calo disastroso non avesse messo lo zampino proprio la fine della sua storia con Corey, sapendo d’altronde che nel momento in cui lo aveva lasciato era in realtà ancora innamorato di lui. In tal caso si stupiva nel constatare come al contrario per il suo amico dai capelli rossi, che certo aveva sofferto almeno con pari intensità, tale evento non avesse influito minimamente nel rendimento scolastico.
Ora che erano iniziate le vacanze estive, d’altronde, Corey gli pareva davvero più sereno.
Avevano trascorso insieme moltissimo tempo, in quelle ultime settimane, interi pomeriggi facendosi compagnia a vicenda e chiacchierando di svariati argomenti, da quelli impegnati alle stupidaggini più scherzose. Talvolta aveva l’impressione che i dialoghi cui Corey era abituato con Damon fossero di carattere meno ‘distensivo’, ma qualcosa gli diceva che anche per lui erano ormai scaduti i tempi del grande tormento.
Tra loro parlavano di cose molto più reali, e Corey si era finalmente confidato con lui non solo riguardo a Damon; gli aveva raccontato anche di sua madre, del rapporto conflittuale che vigeva tra loro e soprattutto di ciò che ne era stata la causa, da lui scoperta solo di recente. Gli aveva fatto capire come si sentisse di fronte a tale consapevolezza, del rancore finalmente attenuatosi nei confronti di lei lasciando spazio al vuoto dello spossamento: non poteva incolparla di detestare ciò che le aveva portato via l’amore, affermava, poiché non si sceglie volontariamente di provare simili sentimenti. In un certo senso, dunque, l’aveva perdonata, accettando il definitivo, incolmabile divario tra loro.
Inoltre gli aveva parlato anche di Steven e degli altri amanti che aveva avuto, anche le storie di una notte soltanto e di come si sentisse compiaciuto ma anche un po’ oppresso dal proprio aspetto fisico. Gli aveva, insomma, aperto il suo cuore molto più di quanto non avesse fatto con qualunque altra persona.
Conoscendolo ora in modo così profondo, Scott si era reso conto di cominciare ad adorare la sua compagnia sul piano intellettuale almeno quanto su quello fisico, giacché, nonostante sulle prime Corey sembrasse pungente e scontroso, talvolta addirittura acido, se si era tanto sagaci da abbatterne le barriere ed accarezzare il suo animo diveniva un compagno adorabile, persino affettuoso, col quale veniva spontaneo sentirsi a proprio agio.
Ora che erano divenuti amici non avrebbe saputo separarsene per nulla al mondo, seppur costretto a disgiungere l’amore passionale da quello psichico, perché Corey era il suo nettare, era il suo miele, il suo tutto.

La casa era tutta per loro, coi suoi immensi saloni in perfetto ordine ed i pavimenti rischiarati dagli ultimi raggi del sole. Appena arrivati, i due ragazzi si avviarono direttamente nella camera al piano superiore, abbandonando gli zaini a terra e gettandosi sul letto ancora sfatto dal giorno prima: Scott spaparacchiato in trasversale in un sospiro di liberazione e Corey seduto più compostamente contro la spalliera.
Dopo un paio di minuti il moro si riscosse, di nuovo pimpante, si tirò su puntellandosi sul gomito e chiese: ― A te non è venuta una certa fame?
― Ma Scott, abbiamo mangiato da appena un quarto d’ora!
― Mh, sarà che a me non è andato neanche nella carie di un dente. Beh, allora beviamo, va’. ― Così dicendo sgattaiolò fino al minifrigo, ne estrasse due bottigliette di limonata ed andò a sedersi al suo fianco porgendogliene una.
Presero qualche sorsata, rilassati nel silenzio placido della stanza.
― Sei stanco? ― domandò Scott guardandolo con dolcezza.
― No, è stata una giornata divertente. ― Corey si voltò verso di lui e lo scrutò enigmatico per alcuni istanti, l’espressione tenera nei chiari occhi azzurri. Ed infine seriamente mormorò: ― Scott, tu mi vuoi bene?
L’altro si sentì rimescolare dentro, ma trovò comunque il coraggio di rispondere con voce ferma: ― Che domande… mi chiedi se il mare è pieno di acqua? Certo che ti voglio bene. Ti voglio un bene infinito, ma non solo. Tu lo sai, io ti amo.
La reazione di Corey fu strana, per quanto quasi impercettibile. Come un ragazzino imbarazzato abbassò leggermente lo sguardo ed a Scott quasi sembrò che i suoi zigomi si imporporassero in modo lievissimo. Ma forse era solo una sua impressione, forse non era che l’effetto della luce filtrata dalle persiane.
Neppure si rese conto di essersi avvicinato a lui, di averlo stretto con un braccio dietro la schiena appoggiando le labbra alle sue per la seconda volta nella sua vita. Ma ora c’era di differente che non veniva affatto scostato e poteva finalmente assaporare il suo momento di perfezione assoluta. Le labbra di Corey non erano come le ricordava, non erano come le aveva sempre immaginate nelle sue fantasie erotiche. No, erano mille volte più sublimi di qualsiasi aspettativa: fresche, morbide… deliziose.
Approfondendo il suo bacio le esplorò con la punta della lingua disegnando la linea fine del contorno e provandone anche in tal modo l’estrema sensualità. Si sentiva famelico come un assettato ad una fonte sgorgante, voleva bere tutto dalla prima all’ultima goccia. Già quel contatto non bastava più e sentì il bisogno di abbracciarlo più strettamente, attirarlo contro di sé, carezzargli la schiena, intrufolargli le dita sotto i vestiti, ricoprire ogni lembo di pelle nuda. Ma si costrinse a frenare almeno parzialmente quella valanga di impulsi.
Corey non si sottraeva al suo bacio, anzi sembrava accoglierlo con trasporto aggrappandoglisi con le mani alle spalle, quasi artigliandogli la maglietta in una tacita richiesta di amore, affetto, protezione. E cosa mai non gli avrebbe dato, lui? Tutto, Scott era pronto a dargli tutto ciò che desiderava, a consacrargli la vita stessa. Quasi non ci credeva, gli sembrava ancora un bellissimo sogno, tanto che volle aprire gli occhi per accertarsi che non lo fosse, per confermarsi che ogni sensazione era reale e tangibile, per vedere il volto del suo amore appiccicato al proprio mentre si abbandonava alle carezze della sua lingua.
Mano a mano approfondiva il contatto, sempre più affamato, esplorava curioso la sua dolcissima bocca permettendogli di fare lo stesso e sentendosi solleticare l’interno delle labbra. Qualsiasi sensazione si intensificava a tal punto da ripercuotersi in ogni sua cellula e focalizzarsi più in basso, in mezzo alle cosce, dove la sua eccitazione era salita in pochissimi secondi fin quasi a divenire dolorosa contro i jeans ormai stretti.
Ah, voleva di più! Neppure la bocca ora gli bastava: staccò le labbra e le spostò sopra il collo leccando e succhiando, a tratti mordicchiando. Dalla spalliera scivolarono distesi di traverso tra le lenzuola stropicciate.
Voleva che tutto fosse perfetto, ora che stavano chiaramente per fare l’amore, perciò cercò il più possibile di controllare quel respiro già affannoso e l’erezione che picchiava crudele la lampo; sollevò un attimo il volto per incontrare lo sguardo di Corey già languido, pregno di una qualche aspettazione, e le sue labbra arrossate non fecero che eccitarlo ancor più. Gli sollevò la maglietta per aiutarlo a sfilarla, ma poi non fece di meno di gettarglisi addosso di nuovo.
Dal collo scese lungo il petto lasciandosi dietro una scia di saliva, percorrendo con le dita il suo addome flessuoso e la vita così sottile da dargli l’impressione di maneggiare qualcosa di prezioso e fragile come cristallo purissimo, passò la lingua sopra i capezzoli rosei, li succhiò uno per uno e proseguì lungo l’armoniosa forma della spalla destra, dove in effetti incontrò più ossa che altro, ma che amò come tutto il resto del suo splendido corpo.
La sua pelle aveva un profumo delizioso ed un sapore ancora più dolce, mentre la assaporava avvertiva compiaciuto i piccoli sospiri di Corey sotto di lui e le sue mani stropicciargli i vestiti nel tentativo di sfilarglieli. Lo accontentò subito: tolse la maglia e la gettò sul pavimento, tornando sopra di lui pelle contro pelle, i capezzoli si sfiorarono gli uni con gli altri e trovò che i loro due corpi uniti, della stessa natura eppure anche molto dissimili, formassero assieme una combinazione bellissima.
Era la prima volta che andava con un ragazzo, ma non si sentiva strano, non più di tanto, almeno: perché quello non era uno qualsiasi, era il suo Corey… e per lui era l’unico, ora che ci pensava. In fondo lo era sempre stato.
In quel mentre anche l’altro iniziò ad accarezzare Scott, sorridendogli un po’ malizioso, fino ad adagiare la mano sul bottone dei suoi pantaloni e slacciarglieli scaltramente in pochi movimenti, facendolo avvampare. Ancor prima di toglierli a lui, continuando a fissarlo negli occhi, portò la mano sui propri e se li sfilò sensualmente lungo i fianchi stretti e le gambe affusolate.
Scott restò immobile ad ammirarlo per alcuni secondi, il volto accaldato. Tornò a chinarsi ghermendogli nuovamente la bocca nella propria, mentre il suo amante terminava di liberarlo dall’indumento. Corey lo accarezzò tra le cosce fino a salire all’inguine, disegnò movimenti stuzzicanti con le dita fino a posargliele proprio sul membro ormai al limite della durezza. Lo prese in mano delicatamente e passò il pollice sopra il glande con movimento circolare.
Scott stava sopra di lui, sospirante e sudato, puntellandosi su un gomito per non gravargli col proprio peso e con l’altra mano cercando la sua schiena abbracciandolo, nell’irrazionale desiderio di racchiuderlo tutto in una sola stretta. E poi…
Poi non riuscì più a trattenersi. Fu attraversato da una scarica di piacere ed eiaculò sulla mano di Corey come un bambino senza esperienza.
Avrebbe voluto morire. Avrebbe voluto che il pavimento gli si aprisse sotto per inghiottirlo per sempre, ed in un attimo rivisse l’incubo della sua prima volta con quella ragazzina che all’apparenza sembrava tanto simpatica e spigliata ma che poi l’aveva preso in giro per una settimana di fronte alle amichette chiamandolo ‘il frettoloso’, con una crudeltà venefica come poche, e rincarando di molto la sua dose d’imbarazzo.
― I-io… m-mi dispiace… scusa… ― biascicò indignitosamente, neanche fossero state le sue prime parole. In un milione di anni non avrebbe saputo spiegare la vergogna che provava.
― Non ti preoccupare, Scott, ― gli disse calmo Corey, carezzandogli il viso con l’altra mano, e lo accostò a sé per baciarlo con maggiore dolcezza di prima.
― È che ero molto…
― Sì, lo so. ― Gli passò le dita fra i capelli e continuò a baciarlo.
Dio, quanto si sentiva frustrato! A parte il suo primo tentativo di amplesso a sedici anni, fallito a causa dell’ansia da prestazione, non gli era più capitato di trovarsi in una situazione simile… con la differenza che ora gli era accaduto per l’eccessiva foga con cui desiderava congiungersi a lui. Dopotutto era tanto, davvero troppo tempo che aspettava quel momento, e la tensione erotica accumulata in quei mesi (anzi, no, anni!), si era sprigionata tutta d’un colpo.
Senza contare che quel miserabile orgasmo precoce lo aveva lasciato insoddisfatto, ancora un po’ semirigido, poiché giustamente non bastava per liberare ciò che sentiva dentro.
Avvertendo il piacere provocatogli dalla coscia di Corey che gli strusciava lasciva in mezzo alle gambe, pensò che in fin dei conti si trovavano appena all’inizio. Allora riprese a baciarlo e ad esplorare il suo corpo: la linea armonica della schiena, i glutei compatti, la sua pelle chiara e levigata come crema gli ricordava le caramelle alla fragola che gli piacevano da bambino, morbide e profumante.
Corey gli afferrò la mano portandone le dita tra le labbra, dapprima baciandole, poi iniziando a leccargli l’indice e il medio, suggendoli, lasciandovi piccoli strati di saliva. Scott trattenne il respiro, inebriato dal sottile piacere provocatogli anche da quel semplice gesto: impiegò alcuni minuti per comprendere che esso aveva uno scopo e provò ancora vergogna, immaginando quanta esperienza avesse Corey più lui, almeno per quel tipo di sesso.
Non appena le sue dita furono ben bagnate, Scott si posizionò a cavalcioni su di lui, con una coscia di Corey tra le proprie e l’altra stretta in vita, e provò lentamente ad intrufolare il medio nella fenditura tra le sue natiche, penetrando con la punta attraverso il piccolo e caldo anello di muscoli, e lo spinse un poco, vincendone la lieve resistenza e sollevato dal fatto che il suo amante, a giudicare dal modo in cui gli succhiava il collo, sembrasse non provarne il minimo fastidio. Da ciò incoraggiato introdusse anche il secondo, avvertendo ora dei piccoli mugolii soffocati contro la propria pelle, che non riuscì a comprendere fossero di piacere o dolore.
Corey si staccò da lui ribaltando gentilmente le loro posizioni e lo fece stendere sulla schiena, lasciandogli sfilare insieme entrambe le dita. Vedendolo ora Scott poté notare come anche lui fosse ormai ampiamente eccitato, ma quando fece per sfiorare la sua erezione l’altro gli bloccò la mano con un mezzo sorriso, ponendoglisi invece fuori portata, il volto in prossimità del suo membro già di nuovo svettante. Iniziò con qualche leccatina tanto per stuzzicarlo, poi ne prese l’estremità in bocca succhiando quasi compostamente, carezzandolo con la lingua in un modo che lo fece impazzire e gemere ad alta voce. Mosse le gambe, incontrollate, piegando o distendendo il ginocchio, tra i sospiri veloci. Aveva raggiunto in pochi minuti un’eccitazione pari alla precedente, se non maggiore, ma questa volta era deciso a dominarla.
Intanto Corey lo accarezzava intorno, nel mezzo dei glutei fino ai testicoli, prendendoli in mano con delicatezza. Neppure quello gli bastava più!
Con la vista appannata ed il respiro a mille, prese fermamente la spalla di Corey e lo scostò da sé, lo spinse supino dall’altra parte del letto, si fece passare una sua gamba attorno alla vita e lo penetrò fino in fondo con poche, energiche spinte.
― Ah-aahh! ― Corey reagì con un piccolo grido, arpionandogli le spalle fin quasi ad infilarvi le unghie.
― Scusa! ― sospirò Scott assestandosi un poco dentro di lui.
― Di nulla. ― Gli cince il collo con le braccia, aggrappandoglisi. ― Avanti, continua.
Come farselo ripetere ancora? Gli accarezzò l’interno di una coscia, umido e caldo, per allargargliela, e gli strinse le mani sui fianchi portandolo verso di sé. Dapprima si mosse sfilandosi un poco, per poi spingersi ancora dentro con un colpo di reni, il più a fondo possibile. Ed ancora incapace di trattenersi spinse… spinse e spinse cercando diverse angolazioni, arretrando e poi rimettendolo, ma senza mai staccarsi del tutto.
Fece passare un braccio sotto la schiena di Corey e lo attirò a sé, cercando intanto con l’altra mano la sua erezione tra i loro corpi ed imprimendovi lo stesso ritmo con cui si muovevano. Chinò il volto sul suo per guardarlo negli occhi mentre si congiungevano, incontrare il suo sguardo appannato e le sue labbra umide dischiuse in piccoli ansiti e gemiti. Non fece a meno di impossessarsene ancora, con impeto appassionato, facendolo suo in ogni modo possibile, mentre il suo amante sollevava il bacino verso di lui per andargli incontro, mugolando sensuali sospiri per il piacere dei primi bagliori orgasmici.
La mano di Scott fece appena in tempo a salire lungo la schiena di Corey e perdersi tra i suoi capelli di seta prima che egli avvertisse una scarica del suo secondo orgasmo travolgerlo, immediatamente seguita da un’altra ancor più potente, tanto che quasi smise di spingere, paralizzato dal godimento, mentre il suo sperma fluiva nel caldo corpicino del ragazzo sotto di lui. Corey gemette eccitandolo all’inverosimile, provocando così la sua definitiva liberazione: il piacere e la tensione si dileguavano in mille luccichii baluginanti di fronte ai suoi occhi accecati.
Sentì venire anche lui, un po’ tra le sue dita e tra i loro petti, in gemiti convulsi.
Crollò stremato sulla sua spalla, deponendovi un bacio. Come erano dolci quelle lenzuola dove avevano giaciuto insieme! Era appena finito ma già provava il desiderio di farlo di nuovo: lo avrebbe fatto altre mille volte in un giorno solo.
Superato lo stordimento iniziale si sfilò via da lui, lentamente per non fargli male, si posizionò al suo fianco stringendolo a sé ed incrociò le gambe alle sue carezzandogliele col dorso del piede. Corey lo guardò con un mezzo sorriso, accettando di appoggiare la testa sopra il suo braccio.
― Ora posso morire felice, ― mormorò Scott, la voce ancora un po’ roca ed un sorriso beato. ― Ammesso non sia già successo: in alcuni momenti credevo davvero che avrei avuto un infarto.
― Sarebbe triste se morissi, visto che ancora lo abbiamo fatto una sola volta.
― Che bello è stato… ― Gli accarezzò il fianco, ora con più tenerezza, a mo’ di coccole, e lo baciò amalgamando dolcemente le loro salive. ― Anche se io sono stato un disastro e ti chiedo perdono. Cosa pensi di me, che sono un incapace o un animale?
Corey non riuscì a trattenere una risatina. ― Nessuna delle due.
― Mi sarebbe di lezione una delle tue frecciatine, in questo momento, così imparerei a controllarmi prima di… ― lasciò la frase in sospeso, come inibito da un bizzarro pudore.
― Scoparmi? ― Ecco, lui al contrario non aveva peli sulla lingua.
― …senza neppure chiedertelo.
― Ah-ah! E cosa credevi che mi aspettassi, scusa?
― Ma ti ho fatto male!
― Naahh, solo perché era da tanto che non lo facevo. ― Lo guardò intensamente mentre il risolino trasfigurava in un sorriso più dolce, incantevole… forse un po’ malinconico. Accostò il volto al suo collo come volesse fondersi in esso, baciandolo lieve. ― Anch’io ti voglio un gran bene, Scott. Davvero tantissimo.
Non era come sentirsi dire ‘ti amo’, ma in quel momento gli bastò pienamente e provò un’immensa gioia di fronte a tali parole.
― Chi mai avrebbe creduto saremmo finiti così? ― gli chiese poi Corey sollevando lo sguardo. Ah, com’era bello quando sorrideva: il suo viso si illuminava come un fiore che schiude i petali. Ogni volta era uno spettacolo giacché non accadeva che raramente. Scott era convinto di averlo visto sorridere più durante quegli ultimi tre minuti che in una vita intera.

Non aveva mai trascorso un’estate più bella, dacché ricordava. E l’esperienza di quella sera non era rimasta un avvenimento isolato, ma si era ripetuta molte altre volte, sempre più intensa ed appagante.
Erano divenuti amanti, si poteva dire, anche se non lo avevano mai chiarito esplicitamente, ma questo non gli sembrava poi così importante di fronte alla natura del loro rapporto, ed a Scott piaceva pensare a Corey proprio come al suo ragazzo. Gli aveva fatto capire di essere disposto a mettere tutto alla luce del sole e di rivelarlo a suo padre, qualora ciò fosse stato necessario, perché non solo non si vergognava del loro amore, ma ne andava estremamente fiero: tanto che talvolta avrebbe desiderato portarselo in centro mano nella mano, alla faccia delle occhiatine biasimevoli e consapevole che in realtà tutti lo avrebbero invidiato perché quella creatura bellissima aveva scelto lui e lui soltanto.
Corey aveva inoltre approfondito conoscenza con gli amici di Scott: erano persino partiti insieme per una breve vacanza, ed anche se egli si fingeva geloso del fatto che il suo compagno avesse stretto fitta comunella col francesino, in realtà sapeva che si trattava solo di profonda amicizia, ed anzi ne era felice perché non sopportava più di vederlo solo. Lui stesso, nel contempo, oltre che ad ammirarlo per la sua intelligenza sentiva di volergli bene non solo come amante, ma anche come amico.
Gli aveva giurato che non lo avrebbe lasciato mai e che sarebbe stato sempre e solo per lui, in qualsiasi momento. E di fronte alla consapevolezza di ciò provava un appagante senso di orgoglio, sentendosi molto meglio anche con se stesso.
Sì, poteva finalmente dichiarare che i tormenti del suo passato erano svaniti e che ora si sentiva pienamente felice.

* * *
― Ti va anche la mia? ― chiese Corey rimescolando svogliatamente la forchetta nel mezzo piatto di spaghetti davanti a sé.
Scott rispose con un grugnito. ― Con solo quelle tre gocce d’olio? Quale insipienza… e vabbè, dammi qua, ci aggiungo un po’ di peperoncino.
Si trovavano seduti di fronte al piccolo tavolo della cucina, illuminati dall’ambrato chiarore del lampadario sopra le loro teste, mentre dalla finestra baluginavano i luccichii della città sotto un limpido cielo bruno.
― Se poi hai più fame c’è lo sfilatino ancora intatto: con un etto di prosciutto dovrebbe bastarti.
― No, meglio di no, ― ribatté serio Scott, senza rendersi conto che l’altro gli aveva in realtà indirizzato una battutina condita da un malcelato sorrisetto. ― Sai, ho messo su un paio di chiletti da quando ho smesso di fumare.
― Quello è perché mangi come un bufalo. Ma comunque non ti si vede, e anche se fosse… ― gli disse, questa volta sinceramente, ― così stai benissimo.
L’altro sorrise tutto gongolante. ― Per il dopo-cena ho comprato i muffins, ― annunciò mostrandogli il pacchetto.
― Per colazione, vorrai dire.
― Sono quelli alla marmellata di ciliege che piacciono anche a te!
― Domani prometto di assaggiarli. ― Corey si alzò dal tavolo prendendo in mano i due piatti vuoti e portandoli al lavandino. ― Lo sai… ― aggiunse mormorando, ― che preferisco farlo a stomaco mezzo vuoto.

Scott si offrì di riassettare la cucina mentre l’altro era impegnato nella stesura del suo nuovo articolo, dopodiché lo raggiunse in camera e gli sedette accanto sul letto. Corey spense il computer e lo adagiò con infinita cura sopra il comodino alla propria destra. ― Sono a buon punto, ― considerò soddisfatto, sostituendo la luce principale col bagliore più intimo dell’abatjour.
― Mi fa piacere.
― Tuo padre sa che dormi qui da me?
Scott annuì. ― Glielo ho detto appena l’altro giorno… di noi due, intendo.
Il suo ragazzo lo guardò basito, un’ombra di preoccupazione negli occhi. ― Avrà dato di matto!
― No, somigliava più ad una statua di sale. ― Strinse le spalle con noncuranza. ― Per me può cuocersi nel proprio brodo: ormai sono adulto e vaccinato, e poi comunque lui ha faccende più interessanti di cui occuparsi, tra i suoi affari e le fidanzate. Da quando è morta mia madre sono certo che non gli importi più nulla di me, quindi non ha infierito più di tanto. Era solo ferito nell’orgoglio come ogni virile maschio che si rispetti. Per il resto viviamo allegramente separati.
― Questo non ti fa male? ― mormorò Corey, tornando per un attimo con la mente ad Alison.
― No, non più di tanto: ho imparato a trovare l’affetto al di fuori della mia famiglia e mi riesce magnificamente, ― gli rispose con un sorriso, accostandosi per baciarlo.
In pochi minuti se ne andarono gli abiti ed anche ogni minimo senso del pudore, ed essi si trovarono amalgamati come quasi ogni sera accadeva.
Corey non avrebbe mai immaginato che l’intesa sessuale tra loro si rivelasse tanto appagante: Scott era molto dolce con lui, ma allo stesso tempo anche pieno di passione e con la giusta dose di irruenza, o almeno quella che lui apprezzava tra le coperte. Non poteva non riconoscere di sentirsi accanto a lui molto più equilibrato, benché talvolta quasi gli paresse strano sperimentare tutta quella stabilità in un rapporto amoroso, senza più tormenti, senza frustrazioni. Come fosse mancato qualcosa.
Ma era pienamente convinto di riuscire a prendervi la mano.

La notte, disteso accanto a Corey tra le lenzuola sfatte ed ancora calde del loro ultimo amplesso, a Scott piaceva osservare il proprio amante appena scivolato nel sonno, il capo addossato contro la sua spalla, come un piccolo cupido dormiente. Il latteo chiarore che entrava dai vetri si specchiava sulle increspature dei suoi riccioli e sul volto pallido rendendolo simile ad una perfetta, incantevole statua di alabastro.
Avrebbe trascorso ore solamente contemplandolo nella quiete di quella stanza che era il loro nido, appoggiando la testa alla mano, lasciandosi cullare dal ritmo placido del suo respiro. Uno dei suoi più grandi desideri sarebbe stato andare a vivere insieme e glielo aveva anche proposto più di una volta, ma Corey aveva sempre rifiutato anche solo di considerare l’iniziativa perché, diceva, ora che era riuscito a conquistarsi uno spazio tutto per sé non avrebbe sopportato di separarsene. Tuttavia le sue parole avevano lasciato trapelare la possibilità che in futuro cambiasse idea e potessero riparlarne.
Per il momento Scott abitava ancora col padre (anche se solo per modo di dire, visto che la casa era abbastanza grande perché non si incontrassero mai), ma nessuno impediva loro di stare insieme per tutto il tempo che desideravano o di trascorrere le notti a fare l’amore, come era appena accaduto. Corey gli aveva persino lasciato una copia delle sue chiavi.
Ora che si era allontanato da sua madre la vita scorreva molto più felice per entrambi: sembrava che Alison si fosse notevolmente addolcita ed avesse iniziato a trovare il tempo per essere più presente anche con sua figlia, che infine aveva abbandonato l’ipotesi di andare a vivere con il padre. Martin si era sposato con Sara alla fine di giugno e le due avevano anche preso parte alle nozze: i rapporti, bene o male, sembravano essersi mitigati.
Naturalmente Alison e Corey non si erano più visti dal giorno in cui il ragazzo aveva caricato in macchina le valigie dopo appena una settimana che le aveva annunciato di andarsene via di casa. La madre lo aveva osservato a braccia conserte sul piazzaletto con sguardo indecifrabile, senza battere ciglio od anche solo augurargli ‘buona fortuna’. Da allora pareva voler dimenticare di aver avuto un figlio e ci stava riuscendo: il suo comportamento era di gran lunga più sereno e meno frenetico, aveva smesso di muoversi a scatti e nella loro casa tutto sommato regnava un’atmosfera più rilassata.
Solo talvolta lo sguardo della donna sembrava perdersi in riflessioni più meste, specie durante le notti di pioggia, quando tornava a considerare l’intero arco della propria vita ed il modo in cui si era svolta, colma di rimpianti e frustrazioni. Sentiva, com’era ovvio, la mancanza di Corey, ma sapeva anche che era una nostalgia insana, molto più legata all’attrazione fisica che non all’affetto per un figlio, poiché, come un tempo vederlo le provocava vergogna e dolore, tuttora il pensiero di lui le suscitava le medesime sensazioni.
Britney non aveva mai compreso i motivi che dettavano il loro distacco, pur intuendone il bisogno assoluto che ne avevano entrambi. Da parte sua andava spesso a trovare il fratello, accompagnata dal padre o da sola in autobus, visto che mai avrebbe rinunciato alla sua compagnia e nonostante in un primo momento non avesse accettato di buon grado il suo allontanamento. Era scoppiata in lacrime tenendogli il broncio per giorni, ma infine non aveva potuto che rimettersi alle sue decisioni.
Ed in fondo quello era un compromesso che aveva sistemato un po’ tutto.

La mattina seguente Scott, intravedendo con gli occhi appannati la sveglietta che segnava le sette e un quarto, biascicò stancamente qualche mugugno di disapprovazione a riguardo del fatto che fosse troppo tardi per fare sesso prima di alzarsi.
― Perché, a che ora hai lezione? ― gli chiese Corey con voce assonnata.
― Alle otto, questa mattina, accidenti a quel vecchio e a tutti i suoi dialoghi platonici! Non potevo scegliermi un corso che cominciasse alle quattro del pomeriggio?
― Non avete il quarto d’ora accademico? ― Domanda pleonastica: anche se non c’era gli studenti se lo prendevano comunque. ― Avanti, ti do un passaggio.
Corey fu il primo ad alzarsi, strappando via la coperta dal letto in un sol colpo e facendo piagnucolare il compagno che lo accusò di sadismo, nudo nel clima non più benevolo dell’autunno.
― Vedi di non metterci tre ore, in bagno, come fai di solito. Il tempo di preparare la colazione e poi la doccia è mia!
― Da che mondo è mondo sei tu quello che mette casa in bagno! ― gli sbraitò dietro l’altro mentre Corey già scompariva in cucina.
― Per questo voglio che vada prima tu.
Fecero colazione con muffins e caffè, dopodiché partirono in tutta fretta, non tanto per Corey che non doveva trovarsi in libreria prima delle nove, ma per evitare a Scott il solito cicchetto dal quasi ottantenne professore di Filosofia Antica che teneva ancora al decoro della puntualità.
Nonostante gli intoppi arrivarono davanti alla facoltà in orario perfetto e, prima di scendere dall’auto, Scott lo accarezzò dietro la nuca attirandolo a sé in un impetuoso bacio.
― Ma cosa ti viene in mente, qui di fronte a tutti?! ― fu la reazione del suo ragazzo, in verità non poi tanto indispettito.
― Non ti avevo ancora salutato come si deve questa mattina, ― gli sussurrò dolcemente. ― E poi che vedano, sono certo che per me provino un’invidia folle. ― Ed aggiunse, sul punto di congedarsi: ― Beh, grazie mille e buona mattinata. Ci vediamo a pranzo.
Corey lo guardò varcare il grande portone ancora salutandolo con la mano, dopodiché cercò di ripartire evitando di mettere sotto tutti quegli odiosi studenti che camminavano in mezzo alla strada intralciando il traffico, sentendosi orribilmente bersagliato dalle loro occhiatine languide.
Mentre guidava sulla strada del lungomare, si sentiva vagamente nostalgico. Lasciò lo sguardo vagare un po’ assorto nella fredda luce del mattino verso le baie assolate, il mare già burrascoso a dispetto della giornata che, se non per una passeggera foschia, prometteva quella tipica e pallida limpidezza di ottobre.
Era tutto calmo, intorno, nessun’auto o bicicletta ad incrociare il suo cammino: solo qualche casalinga che si affacciava alle ringhiere per sventolare coperte o stendere gli abiti durante il riassetto quotidiano. Lasciando i finestrini abbassati poteva respirare l’aria fine e pungente di quelle prime ore del giorno, pregna del profumo della salsedine.
Persino la spiaggia era ovviamente deserta. Tutta la calca estiva pareva svanita con l’evaporare degli ultimi caldi ed essa aveva riacquistato il suo aspetto di decadenza, come un fiore sfruttato dall’insetto e subito abbandonato.
Quando poi volse gli occhi a sinistra, come ogni volta che transitava per quella strada, si trovò di fronte la splendida villa dalle finestre gotiche ed il grande giardino, e nella sua mente si riaffacciò una miriade di ricordi tenerissimi che ancora gli suscitavano grande affetto. Aveva spesso lanciato un’occhiata verso il balcone affacciato sul mare, ma non vi aveva più scorto la figura che l’anno precedente gli era invece divenuta così familiare.
Avrebbe benissimo potuto scegliere il tragitto più breve e raggiungere in pochi minuti il suo posto di lavoro, benché fosse ancora presto, ma qualcosa lo aveva spinto a percorrere quella strada, forse il fatto che in quel periodo dell’anno riaffioravano in lui involontarie memorie sopite dall’estate.
Poche barche malandate ondeggiavano nell’insenatura porto, ove poco più avanti si stagliava il vecchio faro ormai inutilizzato che aveva funto da meta a decine delle loro passeggiate. Come poteva non omaggiare di un tacito saluto o di uno sguardo benevolo quel luogo che a sbalzi era stato complice del loro amore?
Nell’osservarlo tuttavia con la coda dell’occhio individuò la presenza di qualcuno nell’immensa distesa di sabbia, accanto al grande torrione. Per poco l’auto non gli sbandò nella corsia opposta, fortunatamente ancora libera. Subito la fermò col cuore in gola al primo slargo, attraversò la strada di corsa e si precipitò sulla spiaggia, il lungo ed avvitato cappotto scuro sventolante alla brezza salmastra.

Se ne stava in piedi di fronte all’immensa distesa marina con una sigaretta tra le labbra, a fissare le onde dalla cresta spumosa. L’oceano di un verde opalino si specchiava nei suoi occhi persi nel lontano orizzonte, lo sguardo a misto tra l’impassibile ed il malinconico.
― Dovresti smettere. Lo sai che ti fa male, ― si sentì apostrofare alle spalle, mentre il suo cuore aumentava di un battito.
Non ebbe neppure bisogno di voltarsi: quella voce da sola bastava per fargli accelerare il respiro, scucire nella sua anima mille ferite e spalancare un’immensa porta di ricordi, sensazioni, profumi, rumori, spezzoni di dialoghi, alcuni dolcissimi ed altri più amari. Una sola voce per lasciarlo basito e col cuore in gola, indeciso se guardarlo ed infrangere in un attimo qualsiasi barriera oppure fuggire via, più veloce e lontano che poteva, fingendo che quelle parole non fossero che una burla della sua fantasia.
Contro ogni ragione, si trovò invece ad assecondare il desiderio d’incontrarlo ancora una volta: non per uno sguardo sfuggevole, ma per un nuovo faccia a faccia, dopo mesi di silenzio, l’ennesimo tassello della loro perpetua conversazione.
Si voltò lentamente verso di lui, dapprima quasi sfuggente, osservandolo con la coda dell’occhio come se la sua luce avesse potuto accecarlo. Dio… quanto sembrava tutto dannatamente vicino! Tanto da fare male, un male incredibile.
― Ciao. ― Corey avanzò un poco sorridendogli con dolcezza, muovendo nervosamente le mani nelle tasche. Si fermò a pochi passi da lui, volgendosi anch’egli verso l’oceano dinnanzi a loro. ― Non sembra cambiato di una virgola, vero?
Damon non riusciva a spiccicare parola, continuando a scrutarlo pieno d’inquietudine e rimpianto. Il volto, dapprima attraversato da una maschera cerea, aveva ora assunto un intenso rossore sopra gli zigomi. Lasciò che la sigaretta gli scivolasse dalle dita, dileguandosi tra i flutti salati del bagnasciuga.
― Sì, ― si trovò a biascicare, la voce flebile come se anch’essa desiderasse restarsene al chiuso nella gola. ― Non perderà mai il suo fascino oscuro.
Averlo di nuovo accanto sortiva in lui un effetto molto più distruttivo di quanto avesse mai osato immaginare. La sua pelle di perla, le sue labbra e soprattutto quei capelli… si costrinse a non ammirarli, a volgere l’attenzione di fronte a sé.
― Sembra incredibile, ― mormorò Corey giocherellando con la punta di una scarpa nella sabbia bagnata, ― che questo sia l’ultimo luogo in cui abbiamo fatto… ― Lasciò le parole in sospeso, avvertendo l’imbarazzo d’altro. ― Credo che questo faro abbia assistito a tutto di noi, dall’inizio alla fine. Se avesse delle mani per scrivere ed un cervello per comprendere, racconterebbe la nostra storia come se fosse un romanzo. Per questo inconsciamente passavo di qui, perché mi tornava in mente di noi, di quando iniziavamo a conoscerci. Era più o meno in questo stesso periodo, ricordi?
Damon annuì lievemente.
― Ma non credevo avrei trovato anche te. Ti piace ancora camminare a piedi nudi in spiaggia anche con questo freddo, vedo, ― constatò notando i suoi jeans rovesciati fino a metà polpaccio e le scarpe poco lontano, decisamente differenti dagli stivaletti che era solito vedergli addosso.
Si era anche tagliato i capelli, in effetti, ma non poi tanto: appena fin sopra le orecchie, e sembravano anche molto più lisci. Ma nel complesso non gli stavano male. Era solo triste pensare come ora cercasse di incarnare l’ideale dettato da suo padre, riaccendendo in un attimo in Corey tutto l’odio sopito nei confronti di quell’uomo. ― Come ti senti? ― mormorò piano, appena udibile sopra lo scrosciare del mare.
― Mi trovo qui, ― rispose con difficoltà, ― per lo stesso motivo, credo.
Corey non riusciva a fare a meno di incantarsi a guardarlo, ora che riscopriva ogni lineamento del suo volto, il suo modo di parlare, la sua voce così simile ad una carezza, anche la più banale espressione e tutti quei particolari più o meno insignificanti che avevano contribuito a farlo innamorare di lui.
― Come va la tua vita, ora? ― continuò a chiedergli pur sempre con discrezione, le labbra piegate in un sorriso sincero con l’intento di fargli capire che ormai non soffriva più per come era finita tra loro.
Damon infatti incontrò finalmente il suo sguardo, all’apparenza più calmo. ― Come deve, ― fu la risposta. ― Non va affatto male, invece. Ah, vediamo… alla fine mi sono iscritto davvero alla facoltà di Legge. ― Sorrise nervosamente. ― Credevo di cavarmela peggio: in fondo il corso di preparazione che ho frequentato durante l’estate doveva pur servire a qualcosa.
― Tuo padre ora è fiero di te?
― Cosa?
― È fiero di te come volevi?
― Beh… non saprei. L’esame di maturità non è andato come speravamo, ma probabilmente, se ora mi impegnerò a fondo…
― Capisco. E i tuoi quadri… dipingi ancora?
Scosse il capo lievemente. ― No, sto cercando di smettere, e per fortuna ho trovato il tempo di sgomberare e far ridipingere la stanza. Beh, diciamo, ― arrossì un poco, come fosse motivo di vergogna, ― che qualche volta ancora lo faccio, ma raramente.
― Ne parli come se fosse una droga.
― Infatti per me lo è, mi sto disintossicando.
― Beh, quando ti va di dipingere puoi venire da me: te lo lascerei fare quanto vuoi e mi farebbe piacere avere i tuoi quadri in giro per casa. ― Si trattava di una proposta seria, nelle sue intenzioni, ma dubitava che Damon l’avesse considerata tale. ― Tra te e Lena, invece… come vanno le cose?
― Alle solite, non direi che siano cambiate poi molto. Insomma, stiamo insieme da così tanto che la presenza dell’altro ormai è come divenuta ‘neutra’. Come una vecchia coppia separata che tenta di non farlo capire ai familiari. ― Quasi impercettibile, ad un orecchio distratto, la nota di sarcasmo nella sua voce, ma non certo a lui che lo conosceva tanto bene.
― E lei cosa ne pensa?
― Non ne abbiamo mai parlato, quindi deduco le stia bene così.
― Perché dunque non lo fai tu?
― Lo ignorerebbe.
― Sei felice? ― domandò a bruciapelo.
― Avanti, Corey… nessuno lo è veramente.
― Sei felice? ― infierì con maggiore veemenza.
Damon lo guardò con gli occhi lucidi, esasperato come non l’aveva mai visto. ― Insomma, ma si può sapere perché mi stai facendo questo terzo grado? ― gli si scagliò contro all’improvviso, lasciandolo sbigottito come non mai. Quella era la prima volta in assoluto che lo vedeva reagire in modo così impetuoso. Lo lasciò continuare, quasi affascinato. ― Si può sapere cosa speri che ti risponda, per poi poter dire ‘te l’avevo detto’? Che sono disperato, che detesto questa vita e vorrei morire, che più di una volta sono stato sull’orlo del suicidio, che non sopporto il modo in cui ti ho lasciato e che piango ogni notte pensando a come poteva essere, che vivere senza di te non ha senso e ti amo ancora da impazzire?
Corey lo trattenne per le braccia e lo strinse a sé, avvertendo i battiti rapidi del suo cuore contro il petto, il suo respiro ansimante e le sue lacrime sul collo. ― Calmati… calmati, ― gli bisbigliò dolcemente. ― Sai bene che non potrei mai volere il tuo dolore. Vorrei solo che tu fossi felice, a prescindere dalle tue decisioni e dalle persone che ti sono intorno!
― Lasciami, lasciami! ― Damon cercò di svincolarsi ma egli al contrario lo attirò a sé più strettamente. ― Allontanati, averti vicino mi fa solo male! Tu non provi più niente, ma per me non è così semplice.
Inaspettatamente Corey lo baciò sulle labbra, anche solo per farlo tacere. Riscoprì quell’antica sensazione soffermandovisi alcuni secondi e, malgrado l’altro fosse recalcitrante, avvertì per un attimo anche la sua partecipazione. Lo lasciò tremante e confuso, quasi stordito da quel suo gesto inconsulto, ad osservarlo pieno di stupore.
― Il tuo ragazzo non approverebbe questo, ― mormorò Damon.
― Lui è un’altra cosa. E comunque ora io e te siamo pari.
― Come? ― ribatté lui incredulo. ― Non puoi paragonare un semplice bacio a cinque mesi di…
― Vuoi fare anche l’amore?
Damon arrossì abbassando lo sguardo, riuscendo finalmente a staccarsi da lui.
― Come sai di me e Scott?
― Non mi sembra che voi abbiate mai avuto bisogno di nascondere nulla a nessuno.
Già, come dargli torto, visto che si facevano sempre vedere apertamente camminare mano nella mano per le vie del centro? La loro relazione era palese a tutti.
― Io amo tanto Scott, ― sussurrò Corey dopo alcuni secondi. ― Però… in modo diverso rispetto a te. Tu sei il mio primo e grandissimo amore, conserverai sempre un posto speciale dentro di me. Non smetterò mai di volerti bene! ― Così dicendo provò di nuovo ad abbracciarlo, lentamente per non metterlo in difficoltà. Damon rimase rigido, tuttavia non cercò di sottrarsi.
― Voglio solo che tu sappia, ― continuò lui, ― che potrai sempre contare su di me, anche se dovessimo trascorrere anni senza mai incontrarci, senza scambiarci una sola parola, senza mai più vederci… io per te ci sarò sempre. Potrai chiamarmi in qualunque momento, per qualunque cosa di cui tu abbia bisogno. Questa è una promessa. ― Gli prese la mano chiusa tra le proprie, baciandola con affetto. ― Ad esempio, se mai un giorno tu decidessi di vivere in modo diverso, di allontanarti da casa od intraprendere una strada differente senza sapere da dove cominciare… io ti aiuterei! Ti ospiterei volentieri, se tu lo volessi, non avrei problemi neppure a trovarti un lavoro decente, con le doti che hai, ammesso che tu non ci riesca. Sarei disposto a…
― Corey, basta!
Sospirò dolorosamente. ― Mi mancano le nostre chiacchierate. Anche con Scott, sai… parliamo tantissimo e non saprei rinunciarvi, ma… sei tu che mi manchi! Mi manchi incredibilmente, ed anche se sono riuscito a fare a meno del contatto fisico, non posso rinunciare a quello spirituale. La tua voce che ribatte alle mie teorie strampalate, quel tipo di empatia unica che c’era tra noi, io… per quanto ci siano altre persone a cui voglia bene, non l’ho provata più con nessuno. Sai, è come se questo tempo trascorso mi abbia permesso di assimilare i miei sentimenti per te, come se tutta quella morbosa passione, insana, in fin dei conti, che provavo nei tuoi confronti, si sia trasformata in un grandissimo, immenso affetto. E non hai idea… non hai la minima idea di quanto vorrei che restassimo amici!
Damon abbassò gli occhi a terra, lo sguardo mortificato. ― Questo per me non è possibile.
― Perché mai!?
― Non ho ancora superato l’attrazione erotica nei tuoi confronti! ― gli rivelò tutto d’un fiato, come per liberarsi da un immenso fardello. ― Non sai quanto sia difficile averti davanti anche in questo stesso momento. Capisci ora, perché? È questa la differenza tra noi. Una differenza abissale!
Corey lo guardò spiazzato e contrito per alcuni secondi, per una volta nella sua vita davvero senza parole, senza capire perché mai una persona che per certi aspetti era così intelligente aveva desiderato autolacerarsi in tal modo, navigando volutamente contro i propri sentimenti. Avrebbe quasi preferito buttare tutto sull’ironia, proporgli qualcosa del tipo: “Potrei incontrarti mascherato, applicarmi un grosso porro sul naso o fingere di essere gobbo”. Ma avrebbe suonato più come una presa in giro per entrambi.
― Tu hai fatto una scelta, ― gli disse quindi. ― Non l’ho mai condivisa, ma la rispetto. Se io ora fossi disposto a tornare con te, tu come ti comporteresti?
― Non lo faresti.
― Rispondi alla mia domanda!
― Né più né meno di come ho fatto la prima volta! ― affermò cercando di mantenere salda la propria voce. ― Perché noinon-possiamo-stare-insieme! ― Così dicendo sbatté le ciglia impregnandole di lacrime e gli lanciò un’ultima occhiata prima di voltarsi definitivamente, recuperando le proprie scarpe insabbiate ed avviandosi lungo la riva nella parte da cui era venuto, ovvero verso casa, proprio come aveva fatto durante quella disgraziata notte.
Ma questa volta Corey non si precipitò a fermarlo, non gli corse dietro in disperati singhiozzi: si limitò ad osservare la sua figura sottile farsi sempre più lontana di fronte ai suoi occhi e, prima che la troppa distanza gli coprisse la voce, assicurandosi che potesse distintamente sentirlo, gridò: ― Questo è quello che pensi tu, perché noi saremo insieme per sempre!
Dopo che lo ebbe guardato svanire all’orizzonte soffermò la sua attenzione sul mare, un po’ scosso ed amareggiato. Era freddo, quel giorno, malgrado il sereno, e si strinse più forte nella giacca troppo leggera. Forse era solo colpa delle correnti marine: nell’entroterra certamente il clima sarebbe stato più mite.
Era sicuro che ogni volta che avesse visto il mare in burrasca avrebbe pensato a lui, ogni volta che avesse osservato un dipinto preraffaelita, ascoltato Ciaikovski, udito il nome di Hegel o Blake, avrebbe pensato a lui ed al suo modo così dolce di consolarlo, alla delicatezza dei suoi baci, alle sue teorie piene di fiducia sull’umanità e sull’arte. Forse era proprio sulla base di queste e del suo idealismo che si ostinava a proseguire per quella strada, sempre sperando di trovare qualcosa di buono nelle persone. Forse era proprio uno dei motivi per cui lo aveva tanto amato, ed allo stesso tempo la sua più grande debolezza. Ciò che gli aveva promesso sarebbe stato valido in ogni istante, fino al momento della sua morte.
Si risolse infine a tornare sui propri passi, verso l’auto parcheggiata sul lato opposto della strada, preferendo di gran lunga prendersela comoda piuttosto che scapicollarsi pur sapendo di essere già in ritardo. Ma prima volle risalire il lieve picco della scogliera per avvicinarsi al faro e toccare ancora una volta le sue grigie mura avvertendo la pietra fredda sotto le proprie dita affusolate.
Che visione romantica era… Fosse vissuto in epoche passate gli sarebbe piaciuto essere il guardiano di un faro: l’esatto genere di vita che faceva al caso suo, attorniato da misantropia e solitudine, ma fatalmente unico riferimento luminoso dei navigatori.
Non era un muro dove gli innamorati ordinari incidevano i propri giuramenti – quelli preferivano le panchine del parco dove tutti potessero leggerli – e forse era proprio per quello che il suo amore… o almeno colui che una volta era stato tale, aveva dipinto su di esso un cuore arricciato con un pennarello rosso scuro, al cui interno erano segnate due sole iniziali: C. D.
Gli era saltata all’occhio immediatamente la sua grafia limpida ed arrotondata, l’avrebbe riconosciuta tra mille.
Dopo che ebbe a lungo osservato quel piccolo disegno, così ben rifinito, le estremità delle sue labbra si piagarono in un affettuoso e malinconico sorriso, mentre all’orizzonte la foschia si diradava, nella luce avvolgente del giorno.

FINE

 
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9 replies since 16/3/2008, 19:37   8682 views
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