Corey And Damon

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Loveless
view post Posted on 17/3/2008, 14:40 by: Loveless






Capitolo tredicesimo
Trip to the mountain


Una sera, quando Damon tornò a casa di pomeriggio tardi, trovò suo padre che lo aspettava in camera.

Come dire? Erano alquanto fuori luogo tutti quei variopinti quadri mitologici, all’insegna della carnalità, accanto a quell’uomo alto e dritto, in perfetto completo grigio ed inamidato di giacca e cravatta, senza neppure una piega. Teneva le mani congiunte dietro la schiena ed era voltato di profilo rispetto alla porta d’ingresso, lo sguardo rivolto verso la scrivania. Quel suo profilo netto dal naso affilato e la linea severa delle labbra a prima vista potevano suscitare un certo timore, tanto che molto spesso gli avevano favorito il successo durante i processi, quando si trattava di spingere i testimoni a confessare qualcosa di particolarmente scabroso. Ma suo figlio desiderava convincersi che in fondo fuori dal lavoro, dietro al celeste pallido dei suoi occhi, sapesse anche essere affettuoso.

Non era il caso di quella giornata. Damon lo capì subito dal primo gelido sguardo. Fu molto stupito di vederlo, perché sapeva che a quell’ora di solito si attardava in ufficio, tanto meno si sarebbe aspettato di sorprenderlo nella propria stanza. E lui oltretutto si trovava vestito in un modo che suo padre non avrebbe dovuto vedere.

— Papà, — biascicò con un sorriso incerto, — sei già tornato? Che ci fai qui?

— Sono uscito prima. Vuoi sapere che ci faccio in camera tua? Ecco, mi serviva una penna rossa. E siccome so che tu hai questa grande passione per tutto ciò che imbratta la carta… Beh, e non solo.

Damon se ne restò immobile davanti alla porta, come agghiacciato, senza riuscire a parlare. Sapeva che suo padre covava qualcosa in mente. Non era buon segno quando cominciava a fare dell’ironia sottile come in quel momento.

— Adesso vorrei sapere cosa ci fa questo in camera tua. — Dicendo così gli presentò davanti il burrocacao alla fragola che nascondeva tra le mani chiuse. Nel vederlo Damon sobbalzò leggermente e si leccò via quello che aveva sulle labbra in quello stesso momento, nella speranza che suo padre non se ne accorgesse. — Stava in un cassetto del comodino, — gli spiegò Alan, sempre con una punta di cinismo nella voce. — Ben nascosto, naturalmente, ma c’era.

— Beh, sì, — mormorò Damon. — È di Lena. Lo ha dimenticato qui l’altra sera e mi sono scordato di restituirglielo.

— Ah, capisco. E per paura che lo rubassero lo hai nascosto molto bene dentro al cassetto. Giustamente negli ultimi tempi questi oggettini cosmetici sono molto richiesti anche dai ragazzi, come mi pare di vedere in questo momento.

— Che vuoi dire, scusa? È di Lena, chiediglielo.

— Non può essere suo. Lei usa solo rossetti, lo dice continuamente. Ma tu forse non l’ascolti molto mentre parla: forse tu hai altri interessi. — Lo guardò dall’alto in basso con occhi carichi di disprezzo. — Ma guardati, vai in giro come una puttanella. Non solo come una ragazza, ma come una puttana!

Quello che aveva osato insinuare non era vero, non era assolutamente vero. Con che coraggio… con che coraggio si permetteva di dirgli certe cose? Neanche si fosse presentato in minigonna e reggiseno imbottito, come un travestito… Aveva degli abiti normalissimi e pantaloni lunghi. Forse troppo stretti, probabilmente era quello che voleva dire suo padre. Forse disapprovava quel tipo di scarpe, forse i capelli lunghi. Forse tutto, l’intera sua vita.

— Io sono stato anche troppo paziente, con te. Ti ho lasciato perdere tempo con queste stronzate pittoriche, ci hai tappezzato la tua camera, ti sei trastullato nelle mollezze mentre tutti quelli della tua età se ne stavano in giro ad allenarsi in uno sport, ad applicarsi in qualche attività concreta, a temprarsi le ossa, a rimorchiare qualche ragazza. Sai che vuol dire ‘rimorchiare’? Tu te ne stavi qui a fare questi stupidi disegnini che non ti serviranno a niente nella vita, perché la vita vera sta lì fuori e se ne fotte dei tuoi disegnini. Tu fino ad ora non hai fatto niente, te ne rendi conto? La vita sociale, il mondo… sono spietati. Bisogna essere qualcuno, farsi una posizione solida, per riuscire. Essere concreti, pratici, sapersi destreggiare nelle pratiche della vita, perché questo mondo non ammette cogitazioni metafisiche. Se continui così diventerai un emarginato, e io non voglio che questo succeda.

Alan prese il figlio per il braccio sinistro e con l’altra mano frugò nelle tasche della sua giacca. Damon lo guardava col viso contratto, prossimo alle lacrime. “Con che coraggio… con che coraggio provi a perquisirmi?”

In una delle tasche c’era un altro lucida-labbra rosa scuro. Era la fine completa degli alibi. — Allora, ascoltami bene. Un ragazzo che si trucca mi fa schifo. Sei una grande delusione, per me, lo capisci, non è vero? E io che ho cercato di darti sempre il meglio… Ti ho fatto frequentare le scuole migliori, ho soddisfatto ogni tuo capriccio, ti ho lasciato portare i capelli lunghi sebbene fossero completamente fuori luogo… Quando eri piccolo ti ho scarrozzato per tutta Europa, ti ho portato nei musei che volevi visitare mentre tutti gli altri genitori portavano i figli a Eurodisneyland. Ti ho sempre facilitato le cose in tutto. E non è questo che avrei voluto divenisse mio figlio! Certo, forse la colpa è mia. Quando eri piccolo ho sempre cercato di starti il più vicino possibile, ma forse non l’ho fatto abbastanza. Certamente è così. Ma sappi che non mi darò per vinto tanto facilmente. Ti farò cambiare, eccome se lo farò! Sono ancora in tempo.

— Papà, ascolta, io… ― provò a dire Damon con gli occhi lucidi e la voce spezzata.

— Che fai, adesso, piangi? — infierì suo padre, alzando di colpo la voce. — Ah, sei solo una femminuccia. Che diavolo ci trovi a comportarti così? Ti avverto, Damon: Lena è una ragazza meravigliosa, non si merita tutto questo. Mi sono spiegato? Se vuoi continuare ad essere degno di lei, almeno non andare in giro conciato in questo modo! Dai scandalo. Ci pensi che direbbero di voi? E poi le chiacchiere, lo sai, passano di bocca in bocca e colpiscono tutta la famiglia. Se dovesse succedere a me di perdere credibilità nell’ambito del mio lavoro, sta’ pur certo che non la passeresti liscia.

Alan avanzò qualche passo verso di lui sovrastandolo, nei suoi dodici centimetri in più di altezza. Ormai Damon aveva rinunciato a pronunciare anche una sola parola. — È ora di crescere, — gli disse suo padre con aria quasi tragica, — di diventare un uomo. L’epoca di Peter Pan è finita, è ora di assumersi le proprie responsabilità, di togliere i disegnini dalle pareti e tagliare i capelli. Una sola cosa ti dico: fa che non sparisca completamente quello che io credevo fosse mio figlio, perché non tollero nessun altro oltre a lui in casa mia. ― Dette queste ultime parole gli passò accanto ed uscì dalla stanza, richiudendo piano la porta e portando con sé i due lucida-labbra.

Per quasi un minuto Damon rimase agghiacciato senza neanche la forza di muoversi, con lo sguardo basso, vitreo. Poi si lasciò cadere sul pavimento seduto contro la porta, con ancora addosso la giacca dalle tasche assassine. Da una di esse prese una sigaretta e se la accese. Ah, suo padre non aveva detto niente di quella, non l’aveva neanche tirata fuori! E, un po’ per il fumo, un po’ per tutto il resto, dai suoi occhi scesero due lacrime che gli bagnarono il volto, latenti, forse da molto prima.


Era venerdì sera. Sdraiato sul divano della sala da pranzo, totalmente al buio, Corey osservava le lugubri ombre proiettate sugli oggetti dall’inquietante pallore lunare che dipingeva volti, ombre e mostri col suo fragile guanto di velluto. Il buio gli piaceva, ma ancor più il buio pesto, quando non si distinguevano i confini degli oggetti, quando tutto il mondo pareva caduto in un buco nero e nulla più esisteva. Non sospiri, non ricordi, non rimpianti. E lui si sentiva leggero come il vuoto totale: nessuno poteva fargli male perché più nessuno esisteva.

Improvvisamente squillò il telefono. “Bella e beata normalità, perché distogli la mia attenzione proprio quando sto per raggiungere la pazzia?” Rispose solo perché poteva essere sua madre e lei si infuriava se non lo faceva, ma avrebbe preferito mille volte una sua scenata piuttosto che sentire di nuovo quella vocetta fastidiosa. Perché non lo lasciava in pace?

— Hai proprio deciso di non parlarmi più, Corey? — gli chiese Mandy col suo solito tono smielato.

— Vuoi qualcosa?

— Non ti posso chiamare semplicemente perché mi va di sentirti? È da tanto che non ti fai vedere… come te la passi?

— Come sempre. Mandy, che te ne importa? Perché continui a starmi dietro? Vedo che stai benissimo col tuo vecchio principe azzurro che sembrava disprezzassi tanto!

— Ah, allora lo vedi che sei geloso?

— Questo è ciò che ti piacerebbe. Vedi l’incoerenza del tuo carattere?

— Che diavolo vuol dire? Oh, è colpa mia che perdo tempo a ragionare con te. E pensare che volevo ‘fare pace’, anche se non capisco per che cosa abbiamo litigato.

— Aspetta un momento, noi non siamo mai…

— Ti volevo solo dire che domani con un gruppetto di amici andiamo a fare una giterella in montagna. I genitori di Beverly hanno una casa lì, non so di preciso dove. Sarebbe carino se venissi anche tu.

— Io? In montagna con voi, a fare che? ― Quasi gli scappava da ridere a considerare l’assurdità di tale proposta. ― Tanto valeva allora mandarmi un biglietto per l’inferno… senza offesa.

— Perché no? Stiamo tutti insieme, ci divertiamo.

— Senti, Mandy, io non mi diverto con il tuo gruppetto di amiche cretine. Scusa se te l’ho detto. E poi non so sciare.

— Ma mica andiamo a sciare, scemo! Dove diavolo la troviamo, la neve, in questo periodo dell’anno? Ad ogni modo, non dire subito che sono sceme, scusa. Neanche le conosci!

― Per quanto mi riguarda vi conosco anche troppo: non ci vuole tanto per capire come siete fatte.

— Perché includi anche me? Sei solo un’imbecille!

— Allora lasciami in pace. Perché perdi tempo dietro a me?

— Perché sono una cogliona. E poi, va bene, te lo dico: tutte si portano dietro il fidanzato, e siccome Andrew non può venire io sono l’unica che resta senza ragazzo. Quindi se non trovo qualcuno entro domani, non posso andarci.

— Perché, scusa? Vacci lo stesso.

— Ma che dici? Che ci vado a fare, per reggergli il lume?

— Beh, io non ti accompagno di certo. Non ho intenzione di fare coppia con te.

— Corey, ma perché ti comporti in modo così cattivo con me?

— Perché tu hai messo in giro la chiacchiera che stavamo insieme quando non era vero!

— Ma io credevo che…

Corey si sentiva malissimo. Nella sua mente c’era qualche altra colpa di cui Mandy si era macchiata, ma neppure lui sapeva bene di che si trattasse. Forse l’averlo semplicemente immischiato in quel mondo che lui disprezzava, l’aver avuto… come dire? La pretesa di volerlo per sé a tutti i costi.

— Ascolta, — le disse quindi, per apportarle una causa più valida, — se Andrew venisse a saperlo farebbe scoppiare il finimondo.

— Sì, lo so. Ma tu sei troppo vile per affrontarlo, vero?

— Già, — la assecondò lui.

— Peccato. Poteva essere carino. Saremmo potuti stare per tutto il weekend da soli, a fare quello che ci pareva. Saremmo stati solo io, tu, e Beverly e Lena con i loro fidanzati.

— Con i loro fidanzati?

— Sì. Eddie e Damon. Te l’ho detto, che c’è di strano, scusa?

— E tu dici che sei sola? Pensi proprio di non riuscire a trovare nessun altro?

— Ma sì, qualcun altro troverò. Che c’entra? Io l’avevo chiesto a te.

— Va be’, capisco di essere stato un po’ scortese, con te. D’altronde, anche se perdo due giorni con voi, non morirò mica, dico bene?

— Direi di no! — assentì subito Mandy con voce più allegra, ormai convinta di averla avuta vinta.

— E poi, per una volta, l’aria di montagna mi farà bene.

— Allora vieni? Che bello, non vedo l’ora. Vedrai che Andrew non ne saprà niente. Loro che vengono con noi non faranno di certo la spia.

Corey pensò che tenere la cosa nascosta al capitano di football sarebbe stato praticamente impossibile, ma a quel punto poco gliene importava. Certamente non era per Mandy che accettava l’invito, né l’avrebbe gratificata di un solo bacio.

— Allora dimmi, — le chiese, — ci diamo appuntamento da qualche parte?

— Sì. Avevamo pensato di portare solo due auto. Tanto bastano, no?

— Sì, certo. Noi andiamo con Damon e Lena?

— Non lo so, decidiamo domani mattina. Allora siamo d’accordo. Ci vediamo tutti e sei davanti a casa mia, alle nove.


Corey arrivò in ritardo di un quarto d’ora. Nel giardinetto davanti a casa di Mandy c’erano lei, Damon e Lena seduti al tavolo a bere caffè. Non appena lo videro, Mandy e Damon gli andarono incontro. La ragazza gli si buttò con le braccia al collo in modo terribilmente espansivo, mentre lui rimase poco più indietro salutandolo gentilmente. Corey era deliziato nel vederlo, tuttavia notò subito come sembrasse molto più malinconico del normale. Anche gli abiti non erano esuberanti come al solito, e ai piedi portava delle normalissime scarpe da ginnastica, un po’ più sobrie, ma che gli stavano comunque bene.

Si diressero verso il tavolo da giardino dove Lena era ancora seduta in tutta calma a bere caffè. Intanto uscì dalla casa la cameriera, per versare dell’altro tè o latte.

— Eddie e Bev non sono ancora arrivati, — lo informò Mandy che per l’occasione si era vestita sportiva, con jeans e giubbotto firmati, senza naturalmente rinunciare al chilo di fondotinta con cui si era mascherata la faccia. — Hanno chiamato poco fa dicendo che noi intanto possiamo partire: loro ci raggiungeranno poi. Hanno avuto un contrattempo con l’auto, non ho capito bene. Non si tratta di una cosa grave.

— Avranno forse bisogno di aiuto? — provò ad insinuare Lena, comodamente adagiata sulla sua sedia bianca con le gambe accavallate, i tacchi altissimi ed i capelli allisciati come manici di scopa. Corey arrivò persino a pensare che la ragazza avvertisse nella mente quali fossero i sentimenti che provava nei confronti del suo fidanzato, e per questo d’istinto lo odiasse.

Ma in fin dei conti sapeva benissimo che quello di Lena non era che volgare disprezzo.

— Oh, certamente non passeremo la giornata ad accomodare l’auto in panne di quelli lì, — sentenziò Mandy. — Io direi di partire. Guardate, è già tardi. Tre orette ci vogliono, per andare su. Altrimenti ci perdiamo tutta la giornata. Al limite, se loro proprio ritardano, possiamo fermarci in quella bella zona del lago, ti ricordi, Damon? — Lui annuì vagamente. — Sta a metà strada, — continuò lei. — È carino per fare una sosta.

Lena sospirò. Avrebbe voluto stare sola con Damon, in auto, e invece… Tuttavia non disse niente per rispetto di Mandy, la quale era capace di rinfacciarglielo per tutto il resto della giornata.

— Allora siamo d’accordo? — chiese la Ceer-Leader. — Andiamo. Chi guida di voi due, ragazzi? — aggiunse, come fosse ovvio che per forza doveva stare al volante uno di loro invece che le donzelle.

— Per me è indifferente, — affermò Corey.

— Allora, se non è un problema, guida tu, — gli disse Damon.

— Va benissimo.

— Ma Damon, che ti prende? — ribatté subito Lena con voce leggermente stridula. — Io credevo che…

— Ti prego, stamattina proprio non mi sento…

— Che sciocchezze, con tutto il caffè che hai bevuto!

— Non ti senti bene? — gli chiese Corey.

— Ma no! — rispose la sua ragazza per lui. In verità era molto infastidita perché in quel caso avrebbe dovuto occupare il sedile posteriore, che lei detestava. — È solo un po’ assonnato. Sapete, ieri notte abbiamo fatto le ore piccole, io e lui.

Un nume, certamente, impedì a Corey di fiondarsi sul collo di Lena e strozzarla con le sue stesse mani.


Mandy parlò per quasi tutto il viaggio, lei sola, raccontando vita, morte e miracoli di se stessa. Non che avesse cominciato dalla propria infanzia narrando tutte le fasi della sua vita, ovviamente, ma traeva spunto da piccoli particolari. Ad un certo punto, ad esempio, intravidero un cervo ai margini della strada e lei prese a raccontare della volta in cui suo padre da piccola l’aveva portata a caccia, nonché di tutte le sue disavventure quando era andata per i boschi a fare un pic-nic con le amiche in quinta elementare, etc etc… Tutte chiacchiere che come minimo Damon e Lena avevano ascoltato diecimila volte.

Dopo neppure un’ora, Corey aveva l’orecchio destro in fiamme.

Damon parlò giusto due volte: una per chiedere se l’aria del finestrino dava fastidio, l’altra per sapere dalla sua ragazza cosa dovesse comprarle da mangiare quando si fermarono alla stazione di servizio. Lei rispose: — Crackers integrali e diet-coke.

Fino ad allora il viaggio era stato di una noia mortale.

Intorno alle dieci Mandy telefonò alla coppia dispersa sul cellulare di Eddie, risolvendosi nell’accordo di incontrarsi tra un’ora sulla zona del fantomatico laghetto, cui loro giunsero in meno di pochi minuti.

Era un luogo ombreggiato, con degli alti pini che in estate conferivano la giusta frescura di una siesta. Ma erano i primi di ottobre: anche lì la temperatura piuttosto rigida non permetteva di uscire senza una giacca addosso. Il cielo, che fino ad allora si era mantenuto sereno, offuscato solo da qualche sporadico spruzzo di nubi, diveniva di volta in volta sempre più scuro.

I quattro scesero dall’auto e stesero sul prato un grande asciugamano sopra il quale sedettero tutti assieme, vicini per forza di cose.

— Come si vede che l’estate se ne è andata completamente, — mormorò Damon. — Si è fatto parecchio freddo e i giorni sono sempre più corti.

— Oh, perché devi ricordarci queste brutte cose? — ribatté Lena. — Sì, ché tanto non avrei voglia di starmene al mare in costume da bagno, senza scuola.

Corey pensò che l’inverno era una stagione arcana, in cui tutto muore per rinascere come l’Araba Fenice, lasciando compiere ancora una volta l’inesorabile ciclicità delle stagioni. La terra e la natura erano cicliche, compresa la luna, che tanto col suo crescere e calare aveva affascinato le popolazioni antiche. “Se solo la vita umana potesse essere allo stesso modo”, pensò, “se noi potessimo addormentarci per un periodo di tempo e rinascere di nuovo, purificati da ogni peccato, ed ottenere una nuova possibilità senza mai morire, senza mai invecchiare… Se solo potessimo…”

Il piccolo lago emanava lievi riflessi dorati, attraverso il verde torbido delle sue acque ferme. Non fosse stato tanto melmoso sarebbe stato perfetto per un bagno nella calda stagione. Quello invece era il periodo in cui cadevano le foglie, in cui i giardini divenivano variopinti profondendo la gloriosa, struggente inquietudine di qualcosa che stava per divenire ed era ancora nel suo trapasso.

Mandy era lì lì per raccontare il suo primo appuntamento, all’età di tredici anni, quando Lena le sfilò la molletta che le raccoglieva i capelli sciogliendoglieli sulle spalle. — Perché diavolo l’hai fatto? — protestò lei. — Lo sai che è una cosa che detesto. Avanti, ridammela!

— No! — Quando Mandy fece per afferrarla, Lena gliela allontanò, alzandosi in piedi di scatto. — Vieni a prenderla, se ci riesci! — Dicendo così prese a correre seguendo la riva del lago, e Mandy dietro ad inseguirla. — Ehi, ferma, dove credi di andare?

Damon era rimasto con lo sguardo fisso verso la superficie d’acqua. Tirava una leggera brezza che gli scompigliava le splendide onde dei capelli. Intanto Mandy era riuscita ad afferrare Lena e cercava di estorcerle il prezioso bottino dal pugno chiuso della mano. Nonostante fossero giunte a molti metri da loro, potevano sentirne le acute risate e gli schiamazzi.

Corey era seduto poco più dietro di lui, tuttavia, pur non guardandolo completamente in volto, si accorse di non averlo mai visto così triste. Ad un certo punto afferrò una piccola pietra da terra e la scagliò con forza nell’acqua. Questa sobbalzò leggermente, affondando con stoico eroismo. Corey trovò il coraggio di sfiorargli le spalle con le mani, in un tocco dolce, confortevole. — Come ti senti? — chiese.

Damon si irrigidì sotto le sue mani. — Va tutto bene, Corey.

— C’è qualche problema?

— No. Va bene, te lo assicuro, — gli rispose con voce controllata e vagamente tremante. Lasciò passare qualche secondo.

Le ragazze intanto erano di ritorno passeggiando con calma, vicine, con la molletta tornata alla legittima proprietaria.

— Scusa se te lo chiedo, — mormorò ancora Damon. — So che è egoista da parte mia, ma…

— Dimmi pure.

— Cosa intendevi dicendo che secondo te tua madre non ti vuole bene? Da che lo capisci?

— Vedi, lei non mi…

— Eccoci qua! — annunciò Mandy come se nessuno se ne fosse già accorto, sedendosi di nuovo accanto a loro.

— Continuiamo un’altra volta, — gli sussurrò Damon.

— Amore! — esclamò allora Lena con voce concitata. — Oh, amore, andiamo a fare una passeggiata attorno al laghetto. A forza di stare seduta per terra, con quell’umidiccio, mi si bagnerà il vestito! — E lo trascinò con sé prima che lui potesse ribattere.

Corey rimase malissimo. Continuò a guardarli mentre si allontanavano insieme, mano nella mano. Gli venne il nodo alla gola e una voglia incredibile di piangere, di correre da lui, spintonare via Lena ed abbracciarlo. Ecco che si compiva il suo destino: quello di rimanere solo e senza amore. Sua madre, che era la persona che più avrebbe dovuto amarlo e proteggerlo, non aveva mai fatto nulla di tutto ciò, gli aveva dato solo odio e gratuitamente. Ora quella Mandy gli si aggrappava con le braccia e lo baciava sul collo, sperando forse di poterlo cambiare, ma non capiva che era una sfida già persa in partenza! Anzi, averla accanto lo faceva sentire ancora più solo.

E l’unica persona che amava e per cui avesse mai provato quel sentimento… non poteva negarlo a se stesso: aveva un’altra vita, altre persone care, altri problemi. Aveva detto, certo, di stare bene con lui, ma che significava? Non sarebbero mai diventati grandi amici. Alla fine, a Damon cosa importava di essere suo amico? “Non si diventa più amici tra ragazzi, a quest’età. Si va solo dietro alle donne. Io resterò per sempre solo”.

— E dai, Corey, ― mormorò Mandy, intenta a fargli un succhiotto sul collo. — Siamo soli. Mica muori, se ti sciogli un po’.

Corey, che aveva continuato a fissare Damon e Lena, li vide mentre si baciavano sulla bocca dall’altra sponda del lago. Si sentì spezzare il cuore. E in un attimo il nodo che aveva alla gola si ruppe in lacrime disperate. Ma non lo volle far vedere a Mandy. Si alzò in piedi di colpo, affermando: — Devo andare in macchina a prendere una cosa. Torno subito.

Fece una corsa fino all’auto e si chiuse dentro, piangendo disperatamente sul sedile posteriore, lo stesso dove si era seduto Damon poco prima. Si sdraiò con la testa proprio lì, distrutto dai singhiozzi, quasi senza riuscire a respirare, invano sperando che egli aprisse lo sportello e lo abbracciasse dolcemente. Invece restava lì con Lena, lontano, abbracciando lei. “E io… io affondo nella sabbia, senza che tu neanche te ne accorga!”

— Corey! ― lo richiamò Mandy. ― Ma quanto ti ci vuole?

Si asciugò il viso col dorso della mano, aprì lo sportello e le disse: — È troppo freddo per me, lì.

— Ma che troppo freddo! Se continui così quest’inverno morirai assiderato!

Grazie al cielo videro in quel momento parcheggiare lì vicino un’auto sportiva blu scuro: quella dei due ritardatari. Beverly ed Eddie ne uscirono contemporaneamente: lei indossava un vestito grigio lungo fino al ginocchio con sopra una giacca nera (pareva uscita da una sfilata di moda), mentre l’altro, in giacca, pantaloni neri e camicia sportiva sul fisico robusto, da perfetto Ken quale era, portava gli occhiali scuri all’ultimo grido sebbene non vi fosse alcun sole da cui ripararsi.

Tutti corsero loro incontro salutandoli con baci e abbracci. Corey si presentò davanti ai due coi capelli spettinati e gli occhi arrossati dal pianto, ma loro finsero di non notare nulla di strano e gli strinsero cordialmente la mano nei loro serafici sorrisi di circostanza. Lui in compenso li ripagò con lo sguardo più cupo che avessero mai visto in vita loro. Ma anche questo finsero di non notarlo.

L’estenuante viaggio proseguì. Dal momento che quella di Eddie era una Spider con solo due posti, furono costretti a mantenere le loro sistemazioni originarie, con la differenza che questa volta fu Corey a chiedere a Damon di prendere il posto di guida. Lui ovviamente non rifiutò, e Lena ebbe il suo bel posticino anteriore accanto al suo amatissimo promesso sposo.

Corey aveva l’aria di uno che era appena stato picchiato a sangue, pallidissimo. Non sapeva come avrebbe fatto a superare il resto del weekend. Si sentiva morire, aveva ancora voglia di piangere. E pensare che quella mattina quando si era svegliato, all’idea di vedere Damon si era sentito quasi euforico: cosa per lui pressoché impossibile. Certo non aveva calcolato che lo avrebbe visto con Lena e con lei soltanto.


Quando arrivarono a destinazione erano quasi le una del pomeriggio. Si trattava di un caratteristico paesello di montagna dal quale la casa di Beverly, grandissima ed arredata in stile moderno, era ubicata leggermente al di fuori. Corey si sentì addirittura curioso di sapere perché mai quei ragazzi avessero avuto l’ardire di crearsi intorno quella tortura. Perché effettivamente di tortura si trattava: loro sei, per due giorni immersi fuori dal mondo.

Sapeva perché Mandy aveva tanto insistito che venisse, e lui c’era caduto appena aveva sentito il nome di Damon senza contare che egli se la sarebbe trascorsa insieme a Lena, quella vacanza, e lui insieme a Mandy senza possibilità di scelta.

In quel frangente la coppia esisteva solo tra maschio e femmina come i due pezzi combacianti di un puzzle: non valeva più nemmeno la pena di socializzare tra persone dello stesso sesso, tanto come sempre lo scopo umano era quello della riproduzione, come negli animali. Guai a chi faceva combaciare i due pezzi forzandoli un po’!

Come aveva immaginato c’erano tre stanze matrimoniali, una delle quali, pensò, lui avrebbe sicuramente dovuto dividerla con Mandy. Ma non era questo che lo turbava. Lei non era un problema: se proprio doveva ci avrebbe dormito, ed anche se la sciacquetta avesse voluto fare sesso, beh… non poteva di certo violentarlo.

Dopo essersi sistemati nelle camere e fatti una doccia ciascuno, uscirono a pranzo per l’immancabile passeggiatina in paese. L’umore si mantenne tragicamente scherzoso, specie quando Eddie raccontò a raffica una serie di barzellette per lo più porno e volgari, che, sebbene Corey non vi trovasse nulla di divertente, fecero morire dalle risate le tre ragazze. Damon non si smosse di un millimetro, sorridendo solo talvolta per pura cortesia quando qualcuno dei commensali incontrava il suo sguardo.

Mentre compivano quel rituale giro per i piccoli negozietti locali, gremiti di souvenir e prodotti tipici, li sorprese la pioggia che si era addensata nelle oscure nuvole preparatesi durante il mattino, costringendoli a tornare a casa in fretta e furia.

Dalla stanza assegnatagli, tenendo la porta socchiusa Corey sentiva distintamente i piagnucolii di Lena che si disperava perché i suoi capelli avevano perso la messa in piega e Damon che cercava inutilmente di consolarla.

— Sono orribili! — singhiozzava lei, — i miei capelli sono uno schifo! E pensare che ci avevo messo tanto per pettinarli… mentre adesso, in un attimo, basta un goccio di pioggia perché si rovinino. La mia via è una merda!

— Non è vero, non ti si sono rovinati per niente. Adesso ti fanno quest’effetto perché sono ancora bagnati, ma vedrai che da asciutti saranno esattamente come prima. Non vale la pena piangere per così poco.

― E tu che diavolo ne sai? Tu non capisci che per me questo è importante!

― Senti, ora se vuoi mi faccio prestare un phon da Beverly e te li asciugo io.

— Tu? Ma sei matto? Non lo sai fare, è un lavoro da donne. Al massimo lo fa Mandy. O Bev.

— Ma Lena, asciugo da solo sempre i miei e come vedi non stanno messi poi così male. Lo so fare.

— Beh, è una cosa che non dovresti fare, — ribatté lei con tono più deciso e severo, rispetto a quello lamentoso di prima. — Un ragazzo non dovrebbe perdere tempo con spazzole e phon, quella è roba per donne. Tu a proposito dovresti tagliarli, quei capelli. Non ti pare che stiano diventando troppo lunghi? Sia ben chiaro: non voglio che qualche pervertito ci fermi per strada e ci dica: ‘Ehi pupe, avete bisogno di cazzi?’, o qualcosa del genere.

— Scusami. A me piacciono così.

— Sì, ma devi piacere anche alla tua ragazza.


Mandy stava alla finestra scostando le tende con una mano. — Non smetterà proprio mai? Che iella abbiamo avuto. Dove sono Bev e Eddie? — chiese a Corey, seduto sulla sponda del letto.

— Non so, — le disse vagamente.

Sulla soglia della porta apparve Damon con passo leggerissimo, simile a quello di un fantasma. — Mandy, ti vuole Lena. Vorrebbe che le aggiustassi i capelli.

Mandy sbuffò. — Che palle, ma non può farlo Bev? — Ma poiché Bev non si trovava, dovette andare lei in aiuto della sua amica in pericolo di vita.

Finalmente rimasero soli. Corey si sentiva piuttosto triste e ciò traspariva limpidamente dai suoi occhi. Immaginava se stesso nell’atto di abbracciarlo, di stringerlo a sé, di dirgli che gli voleva bene… ma giusto un sogno rimaneva.

Damon gli sedette accanto.

La pioggia batteva fitta sui vetri col suo rumore ritmico e incessante, rassicurante, nella penombra della stanza. Corey alzò lo sguardo verso di lui incontrando i suoi occhi di un verde chiarissimo, incantevole. I loro visi erano molto più vicini di quanto si fosse reso conto.

— Continua quello che mi stavi dicendo.

— Sì, riguardo a mia madre… lei, vedi, non è mai stata affettuosa con me. Non mi ha mai dato un bacio o un abbraccio, non le importava che avessi una vita felice. Conduceva la sua senza il minimo criterio: come avrebbe potuto guidare bene la mia? Lei non c’era mai. Non hai idea delle notti che ho passato da solo sperando che tornasse presto, che mi desse un bacio al mio risveglio, perché, sapevo, di solito era quello che facevano le mamme. Invece lei no. Non le è mai importato molto di quello che mi passasse per la testa: ricordo solo una volta che mi fece una scenata perché non avevo gli interessi degli altri bambini.

— Cosa ti disse?

— Era arrabbiata perché plagiavo le giovani menti dei miei compagni di catechismo. Era come… se si fosse vergognata di me, come se per certe mie azioni fosse caduta la sua reputazione di fronte alla comunità. E credimi, lei non era una santarellina: per un periodo andò a letto con uno diverso ogni sera come un’autentica puttana, non me ne vergogno a dirlo. Ma scaricava tutta la colpa su di me. Mi trattava con cinismo senza motivo, come un antico amante dopo un rapporto logoro e consumato che ha lasciato soltanto astio, o come un amante che l’avesse tradita e su cui volesse scaricare la propria sarcastica vendetta: non mi ha mai trattato veramente come un figlio. Tutt’oggi non facciamo altro che litigare, e non è un litigio normale. È odio. Vedi, impossibilità di sopportarsi. Ha sempre agito al contrario dei miei desideri quasi volesse farmi un torto. Io non la perdonerò. Non la perdonerò mai…

— Per cosa? — mormorò Damon.

— Come per cosa? Per tutto. Per avermi defraudato del suo amore! — Corey aveva gli occhi lucidi di lacrime.

— E tu dai una spiegazione a tutto questo, che va irreparabilmente contro natura? — gli chiese con voce fervente, quasi concitata da un’inquietante disperazione.

— Sì. Il fatto che, involontariamente, le ho rovinato la vita.

— Che vuol dire?

— Rimanendo incinta di me a sedici anni non ha potuto concludere nulla, realizzarsi negli studi, costruirsi la vita come l’aveva sognata… è stata disprezzata dai genitori, buttata fuori di casa. Chi non odierebbe la causa di tutto ciò? Capisco quanto si sia sentita frustrata. E per questo è successo. Con Britney, oh, con Britney dovresti vederla, è tutta un’altra persona. Quando non sta in giro da qualche parte, ovviamente. Non sembra neanche più lei.

— Ma non può essere così, Corey, è innaturale.

— Ci sono tante cose innaturali a questo mondo. — “Come il mio amore per te”, pensò. — Ma dimmi, perché hai voluto che ti dicessi questo?

— Scusa, sono stato privo di tatto.

— No, non mi dispiace parlarne. Volevo solo sapere da cosa era nata la richiesta. È da questa mattina che ti vedo così triste, e mi dispiace. Vorrei…

— Non sono triste, davvero. Forse è solo una tua impressione. Sto bene.

Corey scosse leggermente la testa, cercando le parole adatte da dire. Ma improvvisamente comparvero Eddie e Beverly di fronte alla porta, ponendo fine alla loro conversazione. — Le altre?

— In camera nostra, — rispose Damon.

La porta della stanza si aprì e ne uscirono Mandy e Lena, la quale aveva di nuovo i suoi capelli inamidati e inchiodati con un litro di lacca. — Dove eravate finiti? — chiese alla coppietta.

— Ci stavamo coccolando un po’, — rispose Beverly facendosi passare il braccio del suo ragazzo attorno alle spalle. Naturalmente significava che avevano fatto ben più che delle semplici coccole.

— Le previsioni del tempo hanno detto che per questa sera smette di piovere, — li informò Eddie. — Dove volete andare? Facciamo qualche programma.

— Non è che le alternative siano molte, — disse Lena sedendosi accanto a Damon e abbracciandolo stretto.

— Non è vero, — ribatté Eddie. — Dovrebbe esserci una discoteca, da queste parti. A qualche chilometro dal paese. Ne ho sentito parlare.

— Beh, se volevate andare in discoteca non c’era bisogno di venire qui, — insinuò Corey.

— Che altro vuoi fare? Ci ha sorpreso la pioggia! — replicò Beverly.

— Ora, non so se è proprio una discoteca vera e propria o un pub, o qualcosa del genere, — continuò Eddie. — Ad ogni modo, credo di aver capito la strada. Non è difficile. Vi sta bene?

Tutte le ragazze concordarono con euforia e, contente loro, contenti tutti. Corey era annoiato da morire. Se c’era qualcosa che detestava erano i locali notturni. Ma, come si suol dire, ci sono volte in cui… non si ha scampo dall’omologazione.


In realtà, nonostante per il luogo in cui si trovavano fosse molto più di quanto osassero sperare, il locale non era affatto una discoteca. Era un piccolo disco-pub dalla musica allegra e assordante, l’atmosfera rarefatta, le luci psichedeliche che si muovevano in vorticosa velocità, coloratissime. Non si capiva precisamente quanto fosse grande poiché constava di più sale, tuttavia tutte piuttosto anguste e ricavate da una parte esigua di spazio. Dava l’impressione, su per giù, di qualcosa di estremamente rimediato. Dovettero pagare due dollari a persona per l’ingresso.

Tutte le ragazze si erano portate un abito da sera: indossarono minigonna vertiginosa, tacchi a spillo, capelli sciolti e volti truccati. Eddie, Damon e Corey si erano vestiti in maniera più normale. Per Corey non faceva differenza, tanto lui non indossava mai abiti sportivi, neppure se avesse dovuto scalare l’Everest. Damon invece aveva un nuovo paio di stivaletti, di nero lucido, spregiudicatissimi.

Al centro della sala principale svettava il banco delle bibite con due giovani camerieri, un ragazzo e una ragazza dai movimenti sciolti, impegnati a shakerare cocktail e a conversare coi clienti che non erano molto ubriachi. Ai lati del muro erano disposti piccoli e graziosi tavolini rotondi con poltroncine e divanetti, dove sedeva chi non aveva voglia di ballare. Il resto era adibito a pista da ballo, ed un numero moderato di giovinastri si dava alla pazza gioia sgambettando e saltellando allegramente. La musica (la quale, simile a rumore martellante e indistinto, non era degna di tale nome) sembrava quanto di più obbrobrioso Corey avesse mai sentito dopo le urla di sua madre.

Prima, con molta calma, si sedettero ad uno dei tavoli per ordinare, e lo fecero urlando, qualcosa da bere di non troppo forte. Quando Corey chiese un succo di frutta all’arancia, giacché detestava qualsiasi tipo di alcolico, le ragazze scoppiarono a ridere e Mandy gli appoggiò una mano sulla spalla gridandogli, tra i singhiozzi di divertimento: — E rilassati, un po’, Corey! Che vuoi che ti succeda?

Fu la prima a volersi gettare nella mischia e naturalmente se lo portò dietro, nonostante egli fosse recalcitrante, perché, diceva lei, non c’era nessuno lì dentro che ballasse da solo. Lui tentava di tenere d’occhio il tavolo dove erano seduti gli altri, ma la sua accompagnatrice non faceva che spingersi sempre più lontano da loro e presto lo perse di vista. — Oh, sei rigido come una statua! — lo rimproverò Mandy.

— È che io odio ballare! — le gridò.

— Cosa? Ah-ah! Allora vieni, andiamoci a prendere da bere, magari ti sciogli un po’. Siamo qui per divertirci!

Mentre Mandy lo trascinava al bancone per ordinare due bicchieri di vodka, Corey lanciò uno sguardo sfuggente al loro tavolo dove non c’era più nessuno. Erano rimaste solo le giacche e le borsette delle ragazze. Mandy gli fece cenno di sedersi sullo sgabello accanto a lei ma non bevve una sola goccia di quello che gli aveva ordinato, così la ragazza, già un bel po’ brilla, con gli zigomi arrossati, gli disse: — Lo sai che sei proprio un guastafeste? Mi chiedo perché perdo tempo con te.

“Ecco l’interrogativo esistenziale di Mandy”, pensò lui impegnato a setacciare la ciurma danzante per intercettare, anche solo per un attimo, il volto di Damon. Probabilmente se ne stava da qualche parte solo con Lena. Che rabbia gli faceva anche solo pensarci!

— Non mi sento bene! — disse ad un tratto Mandy.

— Indigestione da alcol etilico, cara. La cirrosi che avanza.

― Sì, divertente! ― ribatté ironica. ― Ho mal di testa. Portami in un posto dove possa prendere aria, dove non ci sia tanto rumore.

Attraversarono di nuovo la pista da ballo e si infilarono in un piccolo corridoio dove la musica arrivava attenuata e che probabilmente portava alle toilette, le quali stavano disposte l’una di fronte all’altra: sinistra per le ragazze, destra per i ragazzi. — Se vai in bagno magari ti passa, — ipotizzò Corey riuscendo quasi ad essere gentile.

— No-no, lì c’è troppo affollamento. Sai, tutte a rifarsi il trucco. Mi basta stare qui. Con te. — Gli appoggiò la testa su una spalla accarezzandolo sul viso, e lo baciò appassionatamente sulla bocca, tanto veloce che egli neppure ebbe il tempo di sottrarsene. Lo portò con le spalle al muro, tanto era ardita e veemente.

Sulle prime Corey si sentì travolto da una collera incredibile: quella serpe aveva architettato la balla del malore per arrivare a quello! Fu sul punto di scostarla da sé con uno spintone, ma poi rifletté. A che scopo allontanarla? Certamente Damon stava facendo lo stesso con quella smorfiosa di Lena. A che scopo respingere Mandy? Avere lei od altri quel punto non faceva differenza, tanto non gli importava di nessuno. Perché non lasciare che almeno lei si divertisse, che facesse di lui quello che voleva? Forse nutriva qualche speranza di portarselo a letto, di farsi regalare un anello di fidanzamento, forse di sposarlo. Era tutto possibile. Cosa avrebbe dovuto importargli, ormai?

Lui teneva gli occhi socchiusi, senza prestare attenzione a contraccambiare il bacio. Dopo qualche secondo vide una figuretta familiare uscire dal bagno dei ragazzi, che era Damon, senza dubbio, ormai Corey lo avrebbe riconosciuto fra mille. Quella sera era vestito completamente di nero, camicia, scarpe e pantaloni, e se avesse avuto neri anche i capelli sarebbe sembrato un bellissimo vampiro.

Con un gesto inconsulto Corey provò a scostarsi di dosso Mandy, rendendosi conto solo in un secondo momento di non avere alcun motivo per cui giustificarsi. Damon gli lanciò un’occhiata veloce, inespressiva, senza neppure rivolgerli la parola, e tornò nella saletta da ballo dove probabilmente lo aspettava Lena. In quella fugace visione Corey notò una cosa strana sul suo volto, qualcosa di simile ad un trucco pesante sugli occhi. Non poteva essersi sbagliato: quello era senza dubbio un bello strato di matita nera, molto glam. E forse aveva messo anche un filo di rossetto. Corey se ne compiacque deliziosamente. “Che coraggio”, pensò. “Chissà quante gliene dirà Lena.”

— Torniamo là? — chiese subito a Mandy. Nonostante la ragazza se ne volesse restare dov’era, magari sperando che egli le desse un altro po’ di quello che prima le aveva concesso, Corey la convinse a tornare nella saletta. Lei si fiondò subito al banco dei liquori: era già alla sua terza vodka. — Che succede lì? — esclamò poi indicandogli col dito un punto della pista. Si era creata una specie di rissa: pareva che due ragazzi si fossero presi a pugni. — Andiamo a vedere che è successo!

Un piccolo tavolino rotondo era stato capovolto, le bevande versate a terra, i bicchieri in frantumi. La folla aveva creato attorno a loro un piccolo cerchio, ed al centro un ragazzo bruno, Eddie aveva appena sferrato un forte destro ad uno dei presenti. La vittima se ne stava riversa a terra col naso sanguinante ed il braccio graffiato dai vetri rotti. — Tu la mia ragazza non la tocchi, è chiaro? Altrimenti ti ammazzo! — urlava Eddie, come inferocito, al suo rivale. Poi alzò lo sguardo verso Beverly, che lo guardava annebbiata e impaurita, la camicetta mezza slacciata. — Quanto a te, puttana…

— Eddie, non è come pensi…

— Sta zitta, troia! A casa facciamo i conti.

Mentre qualcuno aiutava ad alzarsi il ragazzo malmenato, arrivò Lena in tutta fretta, con l’espressione alquanto preoccupata, avvicinandosi a Mandy e Corey. — Avete visto Damon, per caso? — gli chiese. — Non riesco più a trovarlo. È da un sacco che non lo vedo.

— Vado io a cercarlo, — le disse Corey lasciandole lì da sole. Mandy naturalmente si mise a protestare.

Attraversò tutta la sala, guardò dappertutto, ma di Damon nemmeno l’ombra. Non era neppure in bagno. Certo Corey non arrivava a pensare che potesse essergli successo qualcosa di male, ma sperava trovarlo il prima possibile. Così finalmente se ne sarebbero andati da lì. Era strano: prima lo aveva visto col viso truccato da autentica marchetta, poi veniva a sapere che con la sua ragazza non c’era stato quasi mai, quella sera.

Alla fine lo trovò in una stanzetta secondaria, leggermente più piccola di quella dove erano stati loro, dove suonava un deprimente complessetto rock da discoteca a volume martellante. Damon era disteso su un divanetto e pareva addormentato, inquietantemente, come Psiche dopo aver respirato la boccetta di Persefone. I suoi capelli erano bellissimi e fluenti, così mollemente abbandonati sulla stoffa bianca. Sugli occhi aveva uno strato pesante di eyeliner nero che ricordava il trucco degli antichi egizi, e un rossetto color sangue sulle labbra di cui, secondo Corey, non avrebbe affatto avuto bisogno.

Gli si sedette accanto e lo sfiorò sul viso, delicatamente. Sapeva che, se anche avesse tentato di chiamarlo, non l’avrebbe sentito. — Damon, svegliati.

Il ragazzo si mosse un poco aprendo lentamente gli occhi. Era completamente stralunato e si vedeva bene che aveva bevuto troppo e non c’era abituato. — Oh, Corey, sei tu! — Gli sorrise subito, uno di quei sorrisi da ubriaco che si rivolgerebbero anche al peggior nemico. — Lasciami dormire, ho tanto sonno.

— Adesso torniamo a casa, dormirai lì.

— No, non ci voglio andare, a casa. Proprio non ci voglio andare. Andiamo via io e te.

— Vieni su, ti aiuto.

— Mi gira la testa. Non riesco a muovermi.

Corey lo fece alzare, sorreggendolo con un braccio dietro la schiena. Damon quasi non si reggeva con le sue gambe, lo abbracciò per il punto di vita, appoggiò la testa sulla sua spalla e le sue labbra gli sfiorarono il collo. Corey provò un brivido per tutto il corpo.

Mentre lo accompagnava al loro tavolo, Damon, quasi impercettibilmente, mormorò: — Mio Dio, vorrei morire.

Ad aspettarli era rimasta solo Mandy, la quale rimase alquanto stupita nel vedere Damon così avvinghiato a Corey. — Certo che sta proprio messo male, — commentò. — Gli altri sono già usciti. È arrivato il buttafuori e ha cacciato via Eddie.

Li raggiunsero nel parcheggio del locale. Lena era crollata dal sonno nell’auto a due posti di Eddie, il quale era impegnato con la fidanzata in un ferocissimo litigio che prometteva, oltre che urla esagerate, forse anche qualche alzata di mano. — Brutto stronzo! — gridava Beverly. — Quel poveretto non aveva fatto niente di male!

— Certo, tu adesso dici così, puttana, ma prima ti piaceva, ci godevi, gliel’avresti data tutta!

— Sei un porco, sei solo un porco, non ci voglio più stare, con te!

— No, sono un uomo, io, e se qualcuno mi fa un oltraggio, io difendo la mia dignità. E quello che mi appartiene di diritto!

— Ti credi che io sia merce al tuo servizio?

— Guarda, carina, che io sto con te solo per farti un piacere. Lo sai quante ne posso trovare, meglio di te?

Beverly rimase senza parole, annientata, con le lacrime agli occhi. — Sia ben chiaro, io non ci sto più con te! — Dicendo così corse verso Mandy e si buttò a piangere tra le sue braccia.

Corey aprì lo sportello della sua auto e fece sedere Damon davanti, accanto al posto di guida. Le altre due si sistemarono dietro: Beverly piangente, Mandy consolante.

— Vai con loro? Benissimo! — replicò Eddie, salendo nella propria auto e mettendola in moto senza neppure darsi la pena di svegliare Lena, visto che tanto a Damon non passava lontanamente per la testa di richiamarla.

— Oh, ma tesoro… ― non fece altro che dire Mandy per tutto il viaggio, — se ha reagito così è positivo. Vuol dire che è geloso e ti ama!

— Sì, ma ha ragione lui… io non sono che una nullità, in confronto a lui…

— Questo non è affatto vero. Te l’ho detto, non si sarebbe comportato in questo modo, se non tenesse veramente a te. Quelle brutte cose te le ha dette solo per rabbia.

— Ne sei sicura? Non pensi si sia arrabbiato così tanto solo per principio, e non veramente perché mi ama?

— Ma sciocchina, che vai a pensare? Come si può ragionare in modo così contorto? È ovvio che si è arrabbiato perché era ingelosito, ed era ingelosito perché ti ama. Vedi che è tutto a posto?

— Non è questo l’amore, — sussurrò Damon, troppo piano perché le ragazze lo sentissero. Sembrava indescrivibilmente triste, quasi in un decadente stato di post-ubriachezza, guardando fisso qualcosa di insignificante davanti a sé, i propri pantaloni, forse, o le mani che teneva appoggiate sulle ginocchia.


A casa arrivarono prima di Eddie e Lena. Mentre Mandy ancora parlava con l’amica tentando di convincerla che il suo ragazzo l’amasse sinceramente, Corey accompagnò Damon in camera sua, facendolo sdraiare sul letto.

La serata si era rasserenata. Dal tardo pomeriggio aveva smesso di piovere e le nuvole si erano diradate, lasciando fiorire quella fredda nottata autunnale puntellata da stelle la cui luce filtrava attraverso le tende bianche della stanza. Tutto era spettrale, argenteo come i languidi occhi della luna che coi propri raggi lattiginosi sottraevano le loro forme originarie agli oggetti privandoli di contorni ben definiti.

Così, a qualche centimetro dal suo, il viso di Damon era illuminato da quella luna: avrebbe potuto essere quello di un angelo della morte, o di un bambino che non ritrova la strada di casa. La luce si soffermava sui suoi zigomi perfetti, sulla linea sensuale della sua bocca, sui suoi occhi chiari come due stelle.

Prima che Corey trovasse il coraggio di andarsene gli si aggrappò al braccio dicendo: — Corey… mi vuoi un po’ di bene almeno tu?

“Oh, che domanda mi fai! Se solo sapessi… Ma perché mi chiedi questo? Vuol dire che ci pensi? E se ci pensi, perché ne dubiti? Perché ti senti così disperatamente solo?”

Col cuore impazzito per quella richiesta così spontanea, così repentina, Corey pensò che il suo amico non si rendesse più conto di quello che diceva. Aveva la mente completamente offuscata dall’alcol, e di sicuro in condizioni normali si sarebbe trattenuto dal porla. Una volta sveglio non avrebbe ricordato nulla di tutto ciò.

— Oh, sì, certo che te ne voglio, — gli sussurrò. — Molto più di quanto tu possa immaginare. — Ma in quello stesso momento si rese conto del vero senso della domanda, che stava tutto in quell’“almeno tu.” Corey sorrise tristemente. — E non solo io. Tutti te ne vogliono. Chi potrebbe non volertene?

Damon chiuse gli occhi e qualcosa brillò sopra le sue ciglia. — Non andare via. Resta qui accanto a me. — Lo abbracciò tanto forte da farlo sdraiare vicino a lui. Corey gli si ritrovò tra le braccia col volto affondato nei suoi capelli, che avevano un profumo dolce e zuccheroso, e stavano corpo a corpo, l’uno di fianco all’altro, tra le lenzuola bianche del letto. Sentì all’improvviso un calore tremendo sul viso. Tutto si sarebbe aspettato, tranne quello. Gli sembrava l’avverarsi di un sogno, essere lì accanto a lui, poterlo stringere a sé…

Eppure giusto di un sogno si trattava. Occasioni del genere difficilmente si sarebbero ripetute. In condizioni di sobrietà Damon non avrebbe mai fatto qualcosa del genere. Sarebbe arrossito al solo sentirne il racconto, ne era sicuro.

“Ma se io provassi… se glielo dicessi… che male ci sarebbe? Lui non mi capirebbe? E se dopo cominciasse ad odiarmi? Ma come può lui odiare, con quei suoi occhi di smeraldo? Sì, forse mi capirebbe… altrimenti non potrei… E se non capisse?”

— Il futuro… ― sussurrò Damon quasi impercettibilmente, — mi fa tanta paura. A te non succede mai?

— Cosa ti fa paura?

— Tutta la mia vita distesa davanti a me come le pagine già scritte di un libro che io non riuscirò a scrivere, come vedere tutte fallite certe aspettative. Mi sembra tutto come in una tragedia, ogni sicurezza si trasforma nella più grande incertezza, e tutto ciò mi fa tanta paura da togliermi il respiro. Intendo quello che succederà poi, dopo che avrò terminato il liceo, preso questo diploma… vedi, io non muoio proprio dalla voglia di buttarmi nella vita. In una vita adulta, intendo. Vorrei non crescere mai, non dovermi prendere certe responsabilità, perché io, vedi, non ne sono all’altezza. Non so se riuscirei a sopportarlo.

Corey si scostò leggermente per guardarlo in volto. Il suo amico era forse troppo inquieto per riuscire ad addormentarsi. Aveva le lacrime che gli bagnavano le guance ed aveva parlato con voce bassa ma dal tono concitato, quasi bisbigliante. — Che intendi? Gli anni dell’università? Un matrimonio, dei figli, una vita normale?

— Non pensi che sarebbe bello… essere immortali e non morire mai? — gli chiese Damon senza rispondere alle sue domande. — Oppure, non so, morire, ma non invecchiare mai. Vivere una vita senza avere degli obblighi, senza… Perché, sai, si nasce sempre con qualche debito già dalla prima infanzia. Si è purificati dal peccato originale, ma il debito resta finché non lo si è pagato. C’è sempre un fio da pagare per venire al mondo.

Quasi parlava nel sonno, come in un delirio, e Corey volentieri lo avrebbe baciato sulla fronte o magari sulle labbra, ma non si azzardò neppure a pensare di farlo. Rimase accanto a lui, ad accarezzargli i capelli mentre era addormentato. Aveva i capelli più belli che avesse mai toccato, così morbidi, così serici e sottili da sembrare di seta.

Al risveglio sicuramente avrebbe scordato tutto.


Furono entrambi svegliati intorno alle sette di mattina dalla stridula voce di Lena che urlava: — Che diavolo ci fate, qui abbracciati come due frocetti?

Per loro fortuna, quella notte, quando era tornata in auto con Eddie, aveva attraversato la casa praticamente dormendo e si era lasciata cadere sul letto di Mandy, lo stesso dove, tra lacrime e pianti, si era addormentata anche Beverly. Tutte e tre erano talmente distrutte che crollarono distese trasversalmente sul materasso, senza neppure infilarsi sotto le coperte. Eddie dormì da solo in camera sua.

Così trascorse quella grande nottata durante la quale sarebbero dovute succedere molte cose interessanti, a partire dal fatto che Eddie pensava di spassarsela fino all’alba con Beverly (e magari anche con qualcun’altra) e Mandy aveva progettato di convincere Corey ad andare a letto con lei.

Dopo l’urlo di Lena, Corey si riaddormentò per circa un’ora. Fu risvegliato dal rumore che proveniva dalla stanza di Eddie, dove il ragazzo dormiva russando clamorosamente. Si ritrovò solo nel letto.

Quando scese al piano disotto trovò Beverly e Mandy sedute in cucina: una beveva stancamente del caffè, l’altra dormiva con la testa sopra il tavolo. Damon stava in piedi appoggiato ad un mobiletto, girando il cucchiaino in una tazza da tè. Aveva ancora il trucco sugli occhi. Poco dopo scese Lena, che evidentemente non lo aveva ancora notato, lo guardò esterrefatta esclamando: — Damon, ma come diavolo ti sei conciato? Che ti è preso? Sei impazzito? Sembri una puttana, in quel modo, o peggio un travestito! Perché mai ti sei imbrattato il viso così?

— L’ho fatto solo per scherzo. Non ti arrabbiare.

— No, io non mi arrabbio, però potevi anche evitare di sparire in quel modo, ieri sera!

— Scusa. È che sono andato un attimo in bagno e poi non ti ho più trovato.

— Beh, io sono rimasta sempre nello stesso posto.

— Vuoi qualcosa per colazione? — le chiese allora gentilmente, come per farsi perdonare.

— No! E non me lo chiedere, non spetta a te preparare la colazione. I fornelli stanno alle donne. Tu vai a toglierti quella roba dalla faccia.

Damon fece qualche passo verso le scale con l’aria leggermente annoiata. — Ho un mal di testa pazzesco, — commentò fra sé.

Intanto Corey si sedette e prese una tazza di caffè. Appena scese Eddie si avvertì subito lo stato di tensione che aleggiava, pesante, nell’aria. Beverly non riusciva ad alzare gli occhi, lui rifiutava di sederle accanto nonostante fosse l’unico posto libero. Alla fine Mandy, già ridestatasi alle urla di Lena, proruppe: — Su, avanti, fate pace. Non potete continuare così per sempre.

Beverly, sul punto di scoppiare di nuovo in lacrime, gettò il tovagliolo sul tavolo e corse al piano di sopra. L’amica la seguì a ruota. — Non mi vuoi affrontare perché tanto sai di avere torto, puttana! — le urlò dietro Eddie.

Il tempo di prepararsi e scapparono di corsa da quel weekend degli orrori, col risultato che Beverly andò in auto con loro mentre il suo ex-ragazzo se ne tornò da solo nella sua bellissima Spider blu. Per Corey ci fu di positivo che, con Beverly piagnucolante, Mandy e Lena restarono dietro con lei e Damon si sedette nel posto accanto a lui proprio come la notte prima. Ma nessuno dei due ebbe il coraggio di pronunciare una sola parola a riguardo, ed il resto del viaggio trascorse nella calma più piatta.

- Continua -
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