Corey And Damon

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Loveless
view post Posted on 17/3/2008, 07:37 by: Loveless




Finito Capitolo 1 metto il 2 XD


Capitolo secondo
The brawl

Nello spogliatoio dei giocatori di football, dopo l’allenamento pomeridiano, regnavano un odore e un’atmosfera pressoché insopportabili. I ragazzi erano sudati e irrequieti, se la prendevano tra di loro per i passaggi andati male durante il gioco e si colpivano scherzosamente con violenti pacche virili, ognuno per dimostrare ai compagni quanto fosse forte e quanto bene riuscisse a sopravalere sugli altri. L’aria era pesante e irrespirabile, piena dei caldi vapori delle docce, sicché diveniva inevitabile non uscire da quelle quattro mura annerite di muffa con gli abiti inumiditi e i capelli bagnati.

Scott Carlton stava seriamente pensando di abbandonare quello stupido sport. Per anni aveva fatto parte della squadra di football, con successi più o meno mediocri, perché era quello che facevano tutti i suoi amici di vecchia data tra cui anche l’impetuoso Andrew Mardsen, col quale tuttavia non era mai riuscito a legare particolarmente. Da un po’ di tempo gli allenamenti gli sembravano sempre più stancanti e meno gratificanti: stavano divenendo un tedioso dovere anziché una passione per cui spendere energie e gli importava sempre meno di vincere una qualsiasi partita.

I momenti trascorsi a cambiarsi in quella stanzetta squallida, poi, erano insopportabili: la puerile irruenza di quei suoi compagni che credevano di avere l’età necessaria per godere dei piaceri della vita e rifiutarne invece le responsabilità lo mandava sempre più in bestia. Andrew, per esempio, ne era il caso lampante. Scott lo osservava attraverso il riflesso dello specchio, alla destra della propria immagine di ragazzo dai bei lineamenti poco valorizzati da una certa stanchezza e i capelli neri e lisci, che gli ricadevano sulla fronte. Andrew si stava battendo per gioco con Robert: si immobilizzavano a vicenda, si strattonavano e si colpivano l’un l’altro nel fragore generale.

Per i ragazzi tutto questo era di normale amministrazione, perciò nessuno se ne preoccupò fin quando il capitano non buttò a terra Robert con un forte pugno sulla pancia. Sia che lo avesse fatto per scherzo, sia che volesse mostrare al compagno un qualche segno di disprezzo, quest’ultimo si rialzò con sguardo infuocato e gli si gettò addosso con tutta la propria furia urlando: — Brutto figlio di puttana, cornuto, vaffanculo!

Naturalmente a quegli insulti Andrew non poté evitare di controbattere: — Ridillo un’altra volta! Io ti ammazzo, hai capito? Ti ammazzo!

— Ma sì, deficiente, tanto lo sanno tutti che non vali un cazzo! Non sei buono neanche a scopare.

— E tu che ne sai, eh? Lo vuoi provare se è vero, eh? Lo vuoi provare? Scommetto che ti piacerebbe.

Robert mostrò un sorrisino pericoloso. — Te l’ho detto, Andrew, lo sanno tutti. È inutile che lo neghi, lo sappiamo che è stata Mandy a lasciarti… per la tua impotenza sessuale, non è così?

Andrew lo colpì, ma l’altro riuscì ripetutamente a schivare i pugni ogni volta, rendendo la sua figura di eroe offeso nell’onore ancora più goffa e brutale. Robert seguitò col lanciargli ingiurie gridando fatti per lo più ignari al resto dei presenti. — E poi, Andrew, non hai idea di con chi ti ha rimpiazzato: con quel frocetto dai capelli rossi a cui sta sempre appiccicata. Non puoi negare di avercela vista anche tu. Certo che, per aver preferito a te uno come quello, dovevi essere proprio una merda come amante! Sei davvero caduto in basso, playboy, ma forse un po’ è anche colpa del troppo stress da capitano: sempre a correre su e giù e a pavoneggiarti come un imbecille.

— Io stavolta ti ammazzo! — urlò Andrew indemoniato. — Non la passi liscia: ti prendo il cervello e te lo spappolo.

A quel punto Scott fu certo di averlo visto tremare dalla rabbia.

— Quella troia! — urlò Andrew. — Non è altro che una troia che scopa con qualsiasi cretino le capiti davanti, e se tu osi rinominarmela io ti riduco una larva. Ritira quello che hai detto. Ritiralo subito!

— Che c’è, il povero Andrew si sente punto sul vivo? Allora ho toccato un tasto dolente: ti fa male essere rimpiazzato con un outsider?

Il capitano strinse i denti ad un punto tale che se ne riuscì ad avvertire lo stridore che provocavano urtando gli uni contro gli altri. Scott chiuse gli occhi nel momento in cui Andrew si gettò sulla sua temeraria vittima, senza che essa avesse ora possibilità di scampo.

Ma non fu questo a metterlo in agitazione, quanto il fatto che conosceva la reazione di Andrew quando si sentiva ferito nel suo orgoglio e sapeva come avrebbe agito di fronte a quella situazione.



Corey sistemava i suoi libri nell’armadietto e Mandy gli stava accanto insieme a Beverly e Vanessa, ed altre delle sue amiche Ceer-Leaders di cui lui non ricordava il nome. Queste da alcuni minuti fissavano una ragazza a qualche passo da loro e formulavano sottovoce dei commentini al vetriolo, ai quali ella non dava prova di prestare importanza, benché fosse evidente, e Corey aveva capito benissimo che captasse ogni singola parola uscita da quelle bocche irrossettate di marrone.

— Guardate quanto è grassa, tra un po’ scoppia! — fu proprio Mandy ad uscirsene con una battutina del genere. Le altre la seguirono a ruota: — Ma come si fa ad abbinare l’arancione con l’azzurro? Guardate che abiti, quelli andavano di moda trent’anni fa: ce li aveva mia nonna!

— Pensate, — attaccò di nuovo Mandy, — che quella balenottera lì voleva diventare una Ceer-Leader!

— Per l’amor di Dio, quella non riesce neanche a stare in piedi su una gamba sola!

— Già, le si scarica tutto. — E poi scoppiavano a ridere insieme, subito dopo che Mandy aveva dato loro il primo incoraggiamento. Distolsero l’attenzione dalla povera sventurata solamente quando intravidero, da lontano, una delle loro amichette popolari salutarle allegramente con la mano. Corey alzò lo sguardo e vide questa avvicinarsi accompagnata da un ragazzo che la teneva per mano. Era una tipa esattamente come loro: vestita di tutto punto con abiti che mettessero in evidenza le poche forme che si ritrovava, i capelli lisci come uno spaghetto sistemati uno per uno e, cosa più orribile di tutte, aveva il viso talmente ricoperto di fondotinta che pareva quasi una maschera e copriva ogni singola parte della sua pelle naturale, tanto che se avesse avuto un miliardo di brufoli non si sarebbero notati comunque.

Quando si avvicinarono poté guardare meglio entrambi i nuovi arrivati, ma diede loro solo un’occhiata approssimativa, notando fugacemente che il ragazzo che aveva accompagnato quella snob priva di fascino era di una bellezza deliziosa.

— Oh, Corey, — fece Mandy con quella sua vocetta altisonante e piena gioia, — ti avevo già presentato questi miei amici? Lei è Lena e lui è il suo fidanzato Damon.

Corey rimase a guardarli imbambolato per qualche secondo. Era troppo irretito per parlare. Troppo travolto dallo sdegno che aveva provato ascoltando con quale cattiveria agghiacciante si poneva quella ragazza nei confronti delle persone che gli stavano intorno, constatando al tempo stesso come al mondo non vi fosse la minima giustizia se un ragazzo tanto bello doveva sprecarsi a stare con una come quella. No, non era giusto, era inconcepibile. Tutto questo lo lasciava immobile, di marmo. Sicché non disse niente. Non strinse la mano di Lena quando lei gliela porse. Non li salutò dicendo “piacere” o presentandosi a sua volta.

Si limitò a voltarsi ed andarsene in classe senza pronunciare parola.


Se ne stava seduto al proprio banco col libro di letteratura in mano, aperto sulle poesie di Baudelaire che a volte leggeva prima della lezione come diletto. Aveva notato con la coda dell’occhio una figura alta e slanciata avanzare velocemente verso di lui, ma quando gli fu vicina non ebbe tanta compiacenza da alzare lo sguardo neppure quando questa cominciò a parlargli, con quel suo naturale tono sprezzante. Aveva già capito di chi si trattava. E non aveva alcuna voglia di starlo a sentire.

Scott lo guardava torvo, torcendosi le mani sudate all’altezza della vita, trapelante di ansia ingiustificata, buffa, persino grottesca per un atleta come lui. Era paonazzo in volto come dopo una lunga corsa, e lo fissava con un’espressione preoccupata e allo stesso tempo infastidita. — Puoi staccare quella tua arguta testolina dal libro per un decimo di secondo o Sua-Maestà-il-Re-dei-Secchioni non può perdere neanche un attimo del suo tempo per sapere se morirà o se vivrà?

— Vai ad esporre le tue teorie filosofiche direttamente al giornale della scuola, — fu l’audace risposta di Corey, impegnato nella lettura.

— Non ti interessa se morirai o se vivrai?

— Chi se ne frega!

Scott perse la pazienza e gli strappò il libro di mano scagliandolo a terra dall’altra parte dell’aula.

— Ah, questa non te la perdono, stronzo figlio di puttana! — urlò Corey fuori di sé.

— Ripetilo, se hai il coraggio.

— Sei infantile come un bambino di tre anni, fai schifo! Perché diavolo vieni a rompermi i coglioni? Vattene! — Lo guardava inviperito, con una strana luce scintillante negli occhi dalla quale per un attimo Scott si sentì intimorito. La linea della bocca di Corey era severa, rossa e bellissima.

Il giovane si sporse leggermente verso di lui. — Tu credi che quella merda ti servirà a qualcosa nella vita? Guarda, che la vita vera non sta in un pezzo di carta: sta qui intorno a noi ed è quello che ti succede con gli altri a segnarti il futuro! Con te invece si può parlare solo di filosofia.

— E tu che ne sai? Tu non sai un cazzo di me!

— So che Andrew è incazzato nero con te per via di Mandy. Dice che gli hai rubato la ragazza.

Corey strinse le sopracciglia, incredulo. — Gli ho ‘rubato’ cosa? Io e Mandy non ci siamo mai messi insieme!

— Fallo credere a qualcun altro. Andate a letto insieme, lo sanno tutti.

— Vedo che le notizie girano in fretta, qui dentro. Comunque io non ho mai detto di essere fidanzato con Mandy. Lei non è la mia ragazza. Andrew può dire quello che gli pare.

— No, mi sa che non hai capito. Per tutti, voi state insieme. Per Mandy, state insieme.

— Ma fammi il piacere, è una frottola immensa. Non ho mai voluto legarmi a lei. A nessuno…

— Ed Andrew non ha parlato di ‘dire’ qualcosa, ma di ‘fare’. Vuole spaccarti la faccia.

Corey scoppiò in una fragorosa risata. — Lo scimmione ha esposto la sua minaccia, ora avanti il prossimo. Se Andrew si sente frustrato per queste stupidaggini sono problemi suoi. Francamente non credo abbia un cuore per amare Mandy tanto profondamente come pare.

— Guarda che non sto scherzando: quello vuole ammazzarti davvero. Ma a me che importa? Comportati come credi. Certamente non verrò a raccoglierti col cucchiaino quando non ti si distinguerà più la faccia dal sedere, ma non penso che a quel punto possa importartene più di tanto. Scusa se ti ho rotto, volevo solo avvertirti.

— Oh, e a che cosa devo tanta abnegazione? Ho fatto qualcosa di speciale?

— La smetti di prendermi in giro, moscerino? Un’altra parola e ti faccio nero al posto di Andrew. Ti riduco in poltiglia. Ne faresti venire la voglia anche a un santo, te lo assicuro.

— Devo ancora incontrarne uno, di santo.
Scott gli lanciò un’occhiata sprezzante. — Sei la persona più cocciuta che abbia mai visto. Ma lo è anche Andrew, quando si intesta di una cosa.

— Grazie del complimento, ma non puoi paragonarmi a un protozoo come lui.

— Se fossi in te non lo prenderei così alla leggera. Io lo conosco bene.

— Guarda, Scott, muoio di paura, davvero, — ribatté Corey con un sorrisetto di sfida. — Non darti disturbo per queste sciocchezze.

— Hai ragione. Sono imbecille io che continuo a perdere tempo con te. — Scott retrocedette lentamente. — Fatti ammazzare, sarà divertente. Così magari staremo tutti più tranquilli.

— Bene. Raccogli il libro, quando esci.

Scott se ne andò di corsa quasi fuggisse da qualcosa, senza sentire minimamente una sola parola.

“Figuriamoci se mi avrebbe ascoltato”, pensò Corey fissando irritato il tomo ancora sul pavimento.


Andrew attraversò di filato il corridoio della scuola. Pugni stretti lungo i fianchi, sguardo di pietra, andatura pesante, più di un metro ad ogni passo.

Paul Richmond, il redattore del giornale, era un ragazzetto scarno, un fuscello tutt’ossa senza ombra di muscoli e con un leggero accenno di scoliosi, gli occhiali spessi, le lentiggini sulla carnagione smorta per non dire itterica, e i capelli color carota indomitamente ricci, che lui cercava invano di contenere nei loro cinque centimetri di lunghezza. Quando gli fu riferito l’imminente arrivo del capitano di football al suo cospetto (per parlare con lui; e con chi altri, sennò?), valutò per un attimo l’idea di buttarsi dalla finestra, sapendo di essere ad ogni modo spacciato e di avere ben poche probabilità di mantenere intatta la colonna vertebrale.

Andrew irruppe con impeto nell’aula di redazione dirigendosi immediatamente verso il diretto interessato ed afferrandolo per il colletto della camicia. — Tu, brutta piattola bavosa e insignificante, dimmi subito dov’è quel frocio del tuo aiutante o riduco in poltiglia te e tutta la massa cerebrale che ti ritrovi!

Il povero Paul tremava come una foglia sbattuta dal vento: — C-che cosa? — balbettò a malapena. — Con… con chi hai detto che vuoi parlare?

— Ah, non capisci? Vedrai come capirai bene dopo che ti avrò pestato! — Lo sballottò come un vecchio cencio sgualcito sbattendolo al muro ed urlando: — Quello stronzo dai capelli rossi, figlio di una mignotta: Corey Jones! Tu sai dov’è. Hanno detto che l’avrei trovato qui. Lo tieni nascosto da qualche parte? Non fingere con me, altrimenti ti ammazzo! — Gli mise davanti il pugno chiuso. — Lo vedi, questo? Vuoi sentire quanto fa male?

I ragazzi che si trovavano in classe con loro erano pietrificati e non sapevano cosa fare, indecisi se intervenire o meno, sapendo d’altra parte che ribellarsi al capitano sarebbe stata una guerra persa in partenza.

— Io… io non so dove sia, davvero. Oggi è in ritardo… credevamo che non venisse. Non lo abbiamo visto, te lo giuro… non… non oserei mai mentirti.

— Sta’ zitto, mi fai venire i nervi! E poi non ti credo.

— C’è qualche problema, qui? — chiese Corey irrompendo in quel momento e guardando Andrew in modo inquietantemente provocatorio.

Andrew lasciò andare Paul con uno strattone. — Per stavolta ti sei salvato, larva sottosviluppata. — E si voltò verso Corey avanzando lentamente. — Ma bene… ― sussurrò minaccioso col sorrisetto stampato sulle labbra. — Cosa si prova a scoparsi una puttana? Dimmelo, perché io non lo so. Te l’ha fatto quel giochetto con la lingua? No, perché a me lo faceva proprio bene. Magari potrai chiederglielo, se riuscirai ancora a parlare dopo il ‘discorsetto’ che ti avrò fatto.

Corey continuava a guardarlo dritto negli occhi con impudenza sfacciata, senza lasciar trapelare la minima traccia di paura. — Credi di sembrare tanto forte mostrandoti così geloso?

— Guarda che io ti ammazzo! — urlò Andrew in un impeto di rabbia sconvolgente. — Le vedi tutte le troie qui intorno? Darebbero una gamba per stare con me. Posso avere tutto quello che voglio, io. Ma Mandy era la mia donna, di mia proprietà. E tu ti sei preso una cosa che apparteneva a me, e questo non va bene. No, non va proprio bene!

Lo prese sollevandolo da terra in un colpo e lo sbatté contro il muro. — Lasciami! — urlò Corey con gli occhi sprizzanti di veleno.

— Che pensavi di fare, con lei, eh?

— Sei solo uno scimmione senza cervello, Andrew!

— Che hai detto? Prova a ripeterlo! — Andrew lo sbatté di nuovo contro la parete, poi lo strattonò a terra e gli si buttò sopra di peso immobilizzandolo con le gambe.

— Credi che le persone siano degli oggetti? — gli gridò Corey sprezzante, un attimo prima che l’altro gli scagliasse addosso uno dei suoi destri micidiali schiaffandogli il volto contro il pavimento. Neppure questo riuscì a tenergli la bocca chiusa; appena un istante di stordimento e prese di nuovo a provocarlo: — Credi di poterne usufruire quanto ti pare e poi buttarle e riprendertele quando preferisci? Pensi di poter avere tutto dalla vita, anche l’amore gratuito delle persone? Quale di dignità hai? Ma non ti rendi conto, razza di gorilla senza cervello, che qui dentro non c’è nessuno che ti rispetti davvero? Hanno tutti paura di te, ma se potessero ti sputerebbero in faccia!

— Sta’ zitto!!! Se continui a parlare ti ammazzo!!!

— Allora uccidimi, perché non riuscirai a non farmi dire quello che penso!

Il poderoso destro fu improvvisamente bloccato da una forza, ad Andrew sconosciuta, che lo colpì con un pugno in piena faccia e lo buttò a terra supino. Il capitano riconobbe nell’aggressore il proprio compagno di squadra Scott Carlton, che dopo averlo abbattuto subito lo picchiò nuovamente come spinto da furia cieca, una serie di colpi in pieno volto. Riuscì a dire solo: — Tu, brutto pezzente, traditore…

Intanto davanti alla porta si era accalcata una gran folla di studenti, alcuni preoccupati, altri venuti a godersi lo spettacolo. Corey non capì subito cos’era accaduto, né che Andrew e Scott si stavano ora massacrando di botte. Si trovava disteso sul pavimento, ancora piuttosto stordito, con gli occhi chiusi ed un terribile giramento di testa. Sentiva le voci intorno che si sovrapponevano e si confondevano, e quasi sembravano distanti, irreali, appartenenti ad un’altra dimensione. Si rese conto di stare per svenire e si impose di aprire gli occhi. All’inizio vide tutto sfuocato. “Dove sono?” si chiese. “In paradiso?” Gli sembrava di vedere un angelo. Un viso etereo, un angelo del paradiso che lo guardava dall’alto, si chinava su di lui e per giunta gli chiedeva: — Stai bene?

Oh, quel viso era bellissimo, di una grazia e di una dolcezza indescrivibili. E soprattutto i capelli, la cosa che gli era saltata di più all’occhio, erano splendidi. Così, scendenti dall’alto al basso, gli lambivano fluentemente il collo.

Richiuse gli occhi per un attimo e la visione scomparve, sopraffatta dalla vocetta squillante di Mandy, quasi fastidiosa in mezzo alla mischia. Cercò di tirarsi su, di tornare alla realtà. Vide accanto alla la ragazza uno stuolo di gente che guardava, si dibatteva, vociferava. Alcuni studenti si erano gettati nella rissa tentando di dividere Andrew e Scott, che si guardavano come due lupi pronti a sbranarsi fra di loro e ringhiavano, i capelli bagnati e la fronte imperlata di sudore.

— Oh, Corey! — esclamava Mandy compostamente accovacciata accanto a lui, in modo che gli slip le si scorgessero quel tanto che bastava da sotto la cortissima minigonna. — Stai bene? Andrew, sei un bruto!

— Proprio tu parli, puttana! — ribatté il capitano trattenuto a stento da un tipo tutto muscoli.

Corey si guardò intorno, quasi stupito di ritrovarsi in quel posto tanto materiale, senza riuscire a spiegare la sensazione provata pochi istanti prima.

— Quanto a te, — fece Andrew rivolgendosi a Scott, — questo proprio non dovevi farlo. Via dalla mia squadra, non ti ci voglio più. Vedrai se non riesco a buttarti fuori, brutto stronzo di un giuda. Fatti rivedere e vedrai che ti succede!

— Sai che me ne fotte, di restare nella tua squadra di merda! — rispose l’altro con stizza.


Tornando a casa in auto Corey passò a prendere sua sorella, che aveva trascorso il pomeriggio da un’amica. La vide uscire dalla villa camminando a passi veloci sul vialetto, l’espressione a metà fra rabbia e tristezza. I capelli lunghi e castani, sciolti sulle spalle, erano leggermente spettinati dal vento, e sul suo viso regnava sempre quell’espressione furbetta e maliziosa dalla quale subito si intuiva quanto fosse decisamente molto sveglia, nonostante avesse solo otto anni.

— Sei incazzata nera, — constatò lui appena fu entrata.

— Ti pare possibile? Io e Anne abbiamo litigato.

— Non mi dire.

Corey guardò indietro per fare retromarcia, mentre lei continuava a parlare. — Mi ha detto che ha baciato Jimmy, ti rendi conto?

— Jimmy è quello che ti piace, vero?

— Piace a tutte, tanto, — fece lei infastidita e rassegnata. — Quella stronza! E me lo viene a dire così!

— Avete mai provato a chiedere a Jimmy chi preferisce?

— Sì, ma non lo dice, si vergogna. Gli piaccio io, è ovvio che gli piaccio io. Anche se quella se l’è baciato non ha nessuna speranza. Domani entro in classe e lo bacio anch’io. Gli do un bacio sulla bocca. Come si dà un bacio sulla bocca?

Corey ostentò una mezza risatina. — Non c’è un modo preciso.

— Kerry dice che ha letto in una rivista che bisogna darlo con la lingua. Ma non è uno schifo?

— Dagli un semplice bacio.

Britney restò per un attimo in silenzio a riflettere. — E se Anne glielo ha dato in quel modo? Davvero! Se ha avuto il fegato di farlo?

Corey sospirò. — Che ti importa? Jimmy non sarà certo il ragazzo della tua vita.

— E tu che ne sai? Beh, lasciamo perdere. — Passò qualche altro secondo, poi gli chiese: — Quanti anni avevi quando hai dato il tuo primo bacio?

Il viso del ragazzo improvvisamente si rabbuiò, come se qualcosa di spiacevole si fosse riaffacciato nei suoi ricordi, e rispose seccamente: — Avevo quindici anni, ma non è stato romantico.

— Chissà come sarà il mio… ― mormorò lei con sguardo trasognato. — È una bella sensazione? Che si sente?

— Non si sente niente, — le rispose con voce spenta, ripensando di colpo alla sensazione di sconforto provata con Mandy. Disperazione. Terribile solitudine.

Non parlarono più per il resto del tragitto. Solo quando erano quasi arrivati a casa Britney si decise a chiedere: — Mamma ritarda anche stasera?

— Credo di sì, ha detto di avere gli straordinari. D’altronde oggi è venerdì.

— E a che ora torna?

— Alla solita, verso le una. Senti la sua mancanza?

La bambina gli sorrise. — No, tu sei meglio di lei.

— Oh, su questo non c’erano dubbi! — esclamò Corey scherzosamente.

Alison aveva lasciato un biglietto, appiccicato al frigorifero con una calamita, dove si raccomandava di non mettere a letto Britney più tardi delle nove. Era una vera stupidaggine, quando tra l’altro la mattina dopo poteva poltrire quanto le pareva. Solitamente lui la lasciava restare su finché non le veniva sonno, quindi il venerdì sera restavano insieme a guardare la televisione e a mangiare popcorn.

Corey diede un’occhiata a ciò che la madre gli aveva lasciato per cena e decise di ordinare una pizza. Alison passava i tre quarti della sua vita con in mano piatti fumanti di seconda scelta, ma se doveva mettersi lei stessa ai fornelli era un vero disastro.

Britney in soggiorno faceva lo zapping alla televisione alla ricerca di qualche programma interessante. — Comincia adesso un film che si intitola: ‘Trappola mortale’, — gli disse.

A Corey vennero i brividi. Quindi si lanciò in una delle sue solite ridondanti elucubrazioni mentali senza neppure aspettarsi che sua sorella recepisse una sola parola. — Lo sai che cos’è? — ribatté più per propria soddisfazione che per lei. — È il solito film di merda di serie Z, che piace tanto al mediocre pubblico americano e che i produttori continuano a sfornare perché va alla grande. Un giallo del cazzo, o un thriller, magari con una protagonista belloccia, per attirare gli spettatori maschili, la solita virtuosa che compie imprese impossibili e si mette col maschietto di turno, inserito bell’apposta per accontentare le tristi casalinghe frustrate della loro vita coniugale, con la solita storia d’amore in sottofondo, secondaria e dannatamente forzata. Tutto ciò che ti serve per fare un film è una ragazza con una pistola(1). Non mi ricordo dove l’ho letto, ma è terribilmente vero. Stanca della vita comune, deprimente e ripetitiva, la gente vuole vedere cose iperboliche e avventure folli che nella realtà non succederebbero mai.

— Hai ragione, c’è una ragazza, — disse Britney. Dunque lo aveva ascoltato.

D’improvviso squillò il telefono e la piccola corse a rispondere. — Corey? Sì, ora te lo passo. — Lo chiamò dalla stanza accanto: — Vieni, c’è la tua amorosa.

― Quell’oca giuliva non è la mia ‘amorosa’, sia ben chiaro! ― replicò ad alta voce, forse sperando che dall’altro capo anche lei recepisse.

— Oh, Corey! Come stai? — gli chiese invece non appena ebbe appoggiato la cornetta all’orecchio.

— Più o meno bene.

— Mi dispiace per quello stronzo. Non avrei mai creduto sarebbe arrivato a tanto, dopotutto io gli avevo detto che era finita.

— Ti prego, basta. Ne hai già parlato abbastanza, per oggi.

— Come puoi pretendere che non ne parli dopo quello che è successo? Due ragazzi si sono battuti per me! — Mandy pronunciò l’ultima frase cercando di conferire un tono sdegnato alla voce, ma era impossibile non notarvi anche un velato compiacimento.

— No, ti sbagli, — la corresse Corey. — Un solo ragazzo ha fatto a botte per te.

— Vuoi dire che tu non ti saresti battuto, per me?

— Per il mio orgoglio, forse. Per te no di certo.

— Ah, bella roba! E io che credevo ti importasse almeno un po’! A volte sai essere così cinico da risultare insopportabile… Vabbè, lasciamo perdere. Domani usciamo? C’è la partita di basket.

— La partita di basket? — ripeté Corey, per un attimo incredulo che avesse detto proprio quelle parole.

— Sì. dovrebbe giocare anche il fidanzato di quella mia amica…

— Mandy, non me ne importa niente dei tuoi stupidi amici!

— Ah, già, dimenticavo che il signorino non si abbassa a partecipare agli eventi sportivi da quando ha dichiarato guerra ai giocatori “raccomandati”. Potevi almeno venirci per fare contenta la tua ragazza.

― Tu non sei la mia ragazza! Ma come devo specificartelo, in arabo? Non capisco poi perché tu abbia divulgato una tale menzogna.

― Ma io credevo che…

― Credevi male! Poco mancava che quell’armadio umano mi mandasse in coma!

― Piano un momento, ― cercò allora di rinfacciargli, ― non puoi negare di aver colto la palla al balzo, quando mi hai portata a letto!

― Di’ le cose come stanno, piuttosto: sei tu che hai scopato me, non il contrario!

― Uffh! Beh, comunque, ― riprese lei con tono più calmo, ― tornando alla partita: sarò sola come un cane.

— Ma figurati. — Corey non ci credeva proprio per niente. “Sola” lei, che era sempre circondata dalla gente e salutava tutti mentre camminava per strada. Parlarle in corridoio era impossibile tanto era occupata a sventolare la mano e sorridere. Le stesse cose che faceva quando sfilava come Reginetta della Scuola.

— Dai, ti prego, vieni! — cominciò a implorarlo insistentemente con voce languida e sofferta. — Lo sai che senza di te non mi diverto. E poi, dai, alla fine ti diverti anche tu. Come fai a non divertirti?

— Se stare ad urlare mentre guardi un branco di scimmioni che buttano una palla dentro a un canestro di rete lo chiami divertente…

Lei ribatté con tono drammatico, falsamente singhiozzante: — Sei cattivo, non ti importa niente di me! Mai che mi volessi fare contenta!

Corey prese un respiro e finalmente sbottò: ― Smettila di rompere, Mandy, tanto non ci vengo lo stesso: non può importarmene di meno, del basket.

— Non ci posso credere. Tu non stai bene, hai qualcosa in testa che non ti funziona come dovrebbe. Ti consiglio di farti vedere da un medico, perché hai di sicuro qualche rotella fuori posto.

— Sì, certo, io sono un pazzo senza dubbio, a lasciarmi scappare una come te! — commentò riponendo in quell’affermazione tutta l’ironia che possedeva. ―Tu mi stai troppo addosso! Per un momento ti avrò anche illuso, ma non vedi quanto siamo diversi? Non abbiamo un hobby, non abbiamo una passione o un sentimento che ci accomuni.

— Va bene, certo. ― Sembrava risentita, fredda come la punta di un iceberg. ― Allora se è così che la metti, te ne puoi anche andare affanculo, stronzo. — Riattaccò all’improvviso, lasciando in sottofondo il muto, intermittente, tu-tu del telefono.

Corey rimase agghiacciato. Da una parte si sentiva sollevato da un peso, ma dall’altra si ritrovò di nuovo sprofondato nel nero baratro della solitudine. Certo, se era la solitudine quello che voleva combattere, non poteva certo farlo con Mandy, questo lo sapeva perfettamente. Almeno adesso era fuori da quell’orribile mondo di false apparenze. Ma c’era qualcosa… qualcosa che si lasciava l’amaro dietro. E che non c’entrava con Mandy.

Dopo la telefonata passò la sera con sua sorella. Mangiarono sul divano del salotto, a luce bassa per guardare meglio la televisione, continuando a saltare da un programma all’altro e senza mai vederne uno completamente. Documentari noiosi sulla fauna marina, stupidi talk-show nel decadente stile americano farcito di scemenze, orribili film commerciali, giochi a premi per vecchiette ignoranti, telenovele per mogli represse: tutta fottutissima TV spazzatura.

Poco dopo le undici, Britney salì per andare a letto. Corey, seduto sul pavimento, guardava annoiato lo schermo luminoso che proiettava luci e strane ombre sul suo viso pallido, senza ascoltare una sola parola del presentatore rimbecillito e la sua valletta supersorridente in costume da bagno luccicante e strettissimo.

Si ritrovò sdraiato a terra, gli occhi semichiusi, in uno stato di quasi incosciente dormiveglia dove nei pochi attimi di lucidità non si rendeva neppure più conto che quelle strane sagome artificiali provenivano dallo schermo acceso accanto a lui. Cambiavano colore a una velocità indescrivibile: prima rosse, poi un attimo dopo azzurre, poi gialle zafferano, poi viola acceso, e così via.

Nuvole… le nuvole che da bambino ti fermavi ad osservare disteso nel parco e a cui attribuivi mirabili forme di animali fantastici, meravigliosi prodigi, grandi cose effimere e irraggiungibili. Ombre che si evolvevano continuamente, che in ogni istante si scioglievano e si addensavano in una forma diversa, ombre che in ogni momento diventavano essenza di un viso diverso e che non la smettevano di parlare, sebbene lui non capisse cosa dicessero, perché le loro voci si confondevano, diventavano lentamente una sola e unica voce, cattiva, minacciosa, e la faccia non era né bella né brutta, un misto tra tragedia e commedia. E così si apra il sipario ed entrino gli attori. Cominci la spettacolo.

Sua sorella era già cresciuta, già diciottenne e diceva: — Io devo diventare una Ceer-Leader, devo riscattare la scuola da quest’infamia. — Si era schiarita i capelli di biondo e non sembrava più lei. C’era una festa e tutti urlavano e saltavano, con abiti dai colori sgargianti ed elettrici; urla di giovani e adolescenti che compivano un sacrificio umano nella notte… poteva vedere i cadaveri carbonizzati attraverso il fuoco e gli facevano orrore. E il fumo… il fumo saliva alto, fino a perdersi nel cielo e plasmarsi in nuove forme sempre più inverosimili, sempre più grottesche.

Scappare da quella mischia era impossibile, sì, perché c’era un’unica via di fuga, ma era al chiuso dove non c’erano luci, né lui riusciva a trovare l’interruttore per accenderle. Ed era pieno di scale ripide che si rigiravano su se stesse, discese e salite convulse, una delle quali portava ad una stanza dove entrava solo chiarore dalla piccola finestra. Era una vecchia soffitta che racchiudeva libri antichi e vecchie suppellettili impolverate. C’era odore insopportabile di chiuso… e lui, tastando il muro scrostato, cercava disperatamente l’interruttore della luce perché non riusciva a vedere niente, neppure a ritrovare la porta, e una volta che l’ebbe trovata il percorso non era più lo stesso, ma diverso, cambiato altre mille e mille volte…

Sospirò con un lieve gemito e aprì lentamente gli occhi, incapace di muoversi. Non riusciva a sopportare che al mondo esistessero tutte quelle cose (troppe!) che la mente umana non riuscisse a controllare. La televisione, così logica, sicura e rincuorante, procedeva speditamente con un’altra vendita promozionale. Si accorse di avere i capelli appiccicati al viso sudato. “Almeno sognassi l’angelo di oggi”, si disse. Invece rivide Mandy col suo abbigliamento da modella, che diceva: — Proprio non capisco questa tua ostinazione, Corey…

— Corey? Corey?

Una voce esterna da tutte le altre lo scosse fastidiosamente. — Corey, mi senti? Ti svegli o no?

Aprì di nuovo gli occhi e riconobbe china si di lui l’immagine di sua madre, l’espressione stanca e irritata, che continuava a ripetere: — Ma guardati, ti sei addormentato sul pavimento. Guarda che disastro, qui intorno. Tu pensi che io abbia voglia sempre di starvi dietro con la scopa a pulire? Credete forse che sia la vostra serva? Certo che è una soddisfazione tornare la sera tardi e trovare la casa ridotta in questo stato!

Corey si rialzò, facendo leva sui gomiti, forse troppo velocemente perché non gli girasse la testa. — Io… avrei rimesso a posto.

— Come no. Ripulisci tutto e poi vattene a letto. Sono troppo stanca anche per incazzarmi. — Prima di andarsene lo guardò un po’ meglio e proruppe in una sviolinata di puro dissenso. — Ma che ti è successo? Non dirmi che hai di nuovo fatto a cazzotti con qualcuno!

“Beh, fatto a cazzotti… non è proprio l’espressione giusta”, pensò lui.

— Oddio, Corey! Sei… sei qualcosa di impossibile! Non ce la faccio proprio più, con te. Perché devi sempre cacciarti in qualche guaio? Devi fare casino per forza, altrimenti non sei contento! — Era disperata, stava per mettersi a piangere. — Ma quando ti deciderai a crescere? Guarda che ormai hai diciotto anni! Non puoi continuare così. Cristo, mi farai dannare!

— Non puoi trattarmi in questo modo! — le urlò lui di rimando. — Io non ho fatto niente di male, ma tu riusciresti a trovarmi una colpa in qualunque occasione. Lasciami in pace! Chi ti ha chiesto niente? Vattene via. I miei affari me li gestisco da solo perfettamente, senza che tu ci metta in mezzo quella tua lingua biforcuta!

— Lascia perdere… ― fece lei con voce atona.

— Io non ne posso più, di te, hai capito? Appena posso me ne vado da qui. Non ne posso più di stare con te, non ti sopporto più!

— No, guarda lascia perdere. — Alison, gelida, risentita e tacitamente furiosa, cominciò a salire al piano disopra con la treccia castana che le penzolava sulla schiena, lunga quasi fino alla vita. — Guarda, hai ragione. Ma perché perdo tempo con te? Che mi importa? Fai pure quel che cazzo ti pare. Ammàzzati, se ti diverte.

Corey sedette per un attimo sul divano con una sensazione di freddo addosso. Accese la lampada e spense la televisione. Ma sì, se ne andasse al diavolo, non le importava nulla di lei. Pensava ancora al brutto sogno che aveva fatto. Rivedeva i cadaveri carbonizzati, i visi che una volta erano stati umani, cui erano appartenuti occhi che avevano visto e bocche che avevano sorriso, adesso ridotti ad un ammasso nero ed informe, privo della benché minima dignità di vita. Gemette di nuovo.

Persone ridotte in cenere… Chissà che avevano pensato le persone nelle camere a gas dei campi di sterminio, nel momento in cui avevano capito di stare per morire. Chissà che avevano provato tutte le streghe innocenti morte sul rogo nel momento in cui il fuoco aveva raggiunto i loro capelli.

- Continua -
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Nota:
1) “All you need to make a movie is a gun and a girl” è una citazione dalla b-side dei Placebo Miss money-penny (o comunemente detta “James Bond song”, perché dedicata a 007).

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Capitolo terzo
About Scott Carlton


Il lunedì mattina, all’uscita della scuola, a Corey parve di vedere Scott che scendeva velocemente le scale del corridoio in mezzo alla calca di gente. — Ehi, aspetta! — lo chiamò cercando di superare il fastidioso vociferare della folla. Scott si accorse di lui solo quando sentì una mano sulla spalla. Era teso da morire e si voltò di scatto, il veleno negli occhi. Quando lo vide impallidì di colpo, neanche avesse appena incontrato un fantasma. — Che diavolo vuoi?

— Non sei più nella squadra di football?

— Beh, dopo quello che ho fatto credi che abbia molte possibilità? Adesso vattene, lasciami in pace.

— No, aspetta. — Corey accennò un sorriso. — Volevo solo ringraziarti. Non so… se non fossi arrivato tu forse le cose si sarebbero messe male.

Scott sgranò due grandi occhi da finto e ironico stupore. — Davvero? Ma guarda un po’! E pensare che io l’ho fatto solo per farti un dispetto. Sembravi tanto contento che Andrew volesse pestarti a sangue!

— Sei il solito cretino!

Scott lo guardava con rabbia, se non con odio. Tuttavia, dietro quegli occhi così scuri e fieri, poteva forse nascondersi una sorta di fragilità di cui Corey non era mai riuscito a comprendere la vera natura? — Figuriamoci… povero Andy, l’ho salvato dalle tue abominevoli grinfie! Dovrebbe ringraziarmi, invece di cacciarmi a pedate. Gli ho salvato la vita! Tu prima o poi lo avresti ucciso, microbo. Se le parole fossero dardi.

La battutina ebbe il potere di far ridere Corey, cosa per lui alquanto inusuale.

— Cos’è che ti diverte tanto? — replicò Scott aggrottando le sopracciglia, sempre più nervoso.

— Dai, calmati. Sei agitato, pare stia per prenderti un collasso.

— Ma che cazzo ne sai tu? Che fai, adesso mi mandi anche i feticismi?

Corey gli prese il polso. — Sentiamo se il battito cardiaco è regolare… Accidenti, sembra quello di una bomba a orologeria.

Scott sottrasse il braccio con uno scatto violento. — Ma insomma, lasciami in pace! Che cazzo vuoi, da me?

L’altro lo guardò e gli chiese più seriamente: — Ti dispiace di non stare più nella squadra?

— Non me ne frega un cazzo.

— Davvero?

— Ti ho detto che non me ne frega un cazzo! — ripeté quasi urlando. — E adesso dileguati, vattene affanculo! — Corse via più veloce della luce.

* * *
Quando tornò a casa, Scott trovò Corey ad aspettarlo. Era bello come non mai: i suoi capelli risplendevano nella luce e si perdevano in deliziosi riccioli ai lati del volto, aveva gli occhi di un azzurro chiarissimo e la sua espressione non era cupa come al solito, ma addolcita da un sorrisetto gentile e malizioso.

— Corey… che sei venuto a fare, qui? — gli chiese.

Lui si avvicinò con quel suo meraviglioso passo elegante. — Non mi piace affatto come ci siamo salutati prima: ti sono venuto a ringraziare e tu mi hai trattato in quel modo. Perché ce l’hai con me? Ti ho fatto forse qualcosa di male?

Scott non sapeva che cosa dire. — Oh no, Corey, io…

— Sai che mi ferisci, quando ti comporti così. — Lo guardò con occhi languidi e brillanti. — Non riesco a sopportare questo rapporto ostile che c’è tra noi. Forse ti sembrerà stupido che io venga a dire a te proprio queste cose, ma devo sapere perché. Tu mi odii, non è così? Si capisce anche troppo bene.

Scott sentì il cuore sobbalzargli dal petto e quasi scoppiò in lacrime. — Oh, no… ― sussurrò, con voce soffocata. — Non è così, non è come credi. Io proprio non ti odio, non ti ho mai odiato. Non so come spiegarti… questo mio comportamento imperdonabile. È solo che, se non dovessi più neppure tentare di convincermi ad odiarti, non so se riuscirei a nascondere…

Corey si fece ancora più vicino e gli accarezzò il viso col tocco serico e freddo delle sue dita. — Avanti, continua.

— Io, Corey, quando sei vicino a me, non riesco a capire più niente. Non ci sto più con la testa.

— Sì, sì, ti capisco benissimo.

— La mia mente non connette. Sballa completamente.

— A me capita la stessa cosa quando ti sono vicino.

— Non posso crederci!

— È così, — gli confermò Corey. — Mi sembra di impazzire. Ma io… io… ― A quel punto gli prendeva il viso fra le mani e lo baciava profondamente sulla bocca.

— Oh sì, sì, amore mio…― sussurrò Scott. — Ti ho sempre amato. Sempre, sempre… Ma ero convinto che tu neanche potessi prendere in considerazione una simile possibilità, che un ragazzo si innamorasse di te. Ho sempre tentato di respingere questo sentimento, ma ti amo. Non posso negarlo a me stesso!

E Corey gli diceva: — Cosa ti ha fatto credere che potessi non amarti? Si capisce quando qualcuno ti ama. È inutile fingere.

Quindi in un batter d’occhio si ritrovavano in camera, nel letto di Scott. Poteva finalmente stringere il suo Corey fra le braccia nella felicità più totale, sentire le sue labbra sulle proprie, baciarlo dappertutto, avere la sua pelle serica sotto le dita. Di solito da quel momento in poi passavano la notte a letto insieme a fare l’amore, stretti l’uno nell’altro.


Scott arrivò all’orgasmo e smise di masturbarsi. Al buio, sotto le coperte da solo. Aprì gli occhi respirando affannosamente e si rannicchiò con le ginocchia al petto. Si sentiva male da morire, aveva il gelo nell’anima. Sempre la solita storia, erano mesi e mesi che continuava così.

Quanto gli ci era voluto per ammetterlo a se stesso? E quanto ancora aveva fatto per non pensare più a lui, per lasciarlo perdere completamente! Era stato tutto inutile. Perché non è facile dimenticare qualcuno che vedi tutti i giorni e che per di più fa parlare così tanto di sé.

“Io ho la mia vita, lui ha la sua. Insieme non c’entriamo niente, noi due.” Non faceva altro che ripetersi questo, invano. Ma cosa poteva mai fare? Correre da lui e gridargli: “Ti amo”? Come minimo gli avrebbe risposto con un calcio nel sedere. Quella situazione era impossibile da reggere. Scott stava peggio ogni giorno che passava e non c’era alcuna via d’uscita: a Corey non sarebbe mai passato per la testa che lui, proprio lui, un ragazzo che per di più faceva di tutto per essergli antipatico, avesse potuto desiderarlo così tanto.

Ogni volta che lo incontrava cominciava a sudare a freddo, gli prendevano le vertigini e la tachicardia. Quella mattina, quando Corey gli aveva stretto la mano al polso, gli era parso di svenire. Era l’effetto che gli sortiva quel ragazzo e non c’era cura che lo lenisse. Lo voleva come mai aveva voluto nessuno nella sua vita e per questo si sentiva mostruosamente in colpa. Tutta colpa di lui, di quella bellissima e dolcissima strega dagli occhi di ghiaccio.

Scott aveva una paura tremenda che se avesse manifestato anche per un attimo i suoi veri sentimenti, sarebbe andato incontro ad un disastro irrimediabile. E per questo, sì, lo amava e lo odiava allo stesso tempo, per questo lo trattava male in modo da poter convincere se stesso prima di tutti che non gli importava nulla di lui. Ma più lo vedeva e più lo desiderava, peggio di una droga. E lo desiderava carnalmente, desiderava andare a letto con lui, toccare la sua pelle, accarezzare i suoi capelli. Nessuna ragazza aveva avuto questo potere.

Lo conosceva ormai da tantissimi anni, avevano anche frequentato le elementari insieme, ma non erano “amici” nel vero senso della parola, si parlavano raramente e mai avevano condiviso un solo interesse. Corey era sempre stato ritroso, se ne restava sulle sue anche quando era ancora un bambino. Rifiutava sprezzantemente di partecipare ai giochi di squadra durante gli intervalli in giardino, polemizzando persino quando era costretto a farlo per forza nell’ora di ginnastica. Era costantemente irritato, sempre in conflitto col mondo intero.

Tra le ragazzine aveva un grande successo, benché non cercasse mai di sedurle, ma a lui non importava: ad attirarle era il suo semplice aspetto. Le più temerarie gli giravano intorno come libellule alla luce e talvolta, se erano fortunate, riuscivano anche a cavargli di bocca qualche parola. Si sentivano affascinate e incuriosite da lui, che era forse considerato carino almeno quanto strano. Capelli folti e morbidamente riccioluti già da allora ed il viso di una bambola di porcellana, dalla pelle bianca e gli zigomi rosa, le labbra rosse e l’espressione severa, un misto tra Atena e Afrodite.

A scuola era una specie di genietto, neanche a dire che passasse la vita sui libri. Vivacità mentale… “cattiva” la definivano però le maestre, già presagendo i disastri che avrebbe combinato da grande. Polemico fino all’esasperazione, aveva sempre da ridire su tutto, nulla passava di fronte a lui di ingiustificato, nessun torto non riscattato, nessuna ingiustizia perpetrata. Naturalmente spesso accadeva che un insegnante gli chiedesse di aiutare i compagni meno dotati o semplicemente più svogliati e lui rispondeva: — Cosa crede, che abbia studiato pedagogia? Lo faccia lei, il suo lavoro. — Era chiaro che alla fine dell’anno l’otto in condotta non glielo togliesse nessuno.

Allo stesso modo andavano le lezioni di catechismo. Tutti ridevano nel vedere il colorito rosso-peperoncino del prete (che tra l’altro soffriva pure di colesterolo, povera anima), mentre cercava di rispondere alle domande di Corey, un apparentemente innocuo bambino di sei anni che gli chiedeva: — Mi dica, come è possibile che il genere umano sia stato generato da Adamo ed Eva se essi hanno avuto solo due figli maschi? E nel caso avessero avuto un maschio e una femmina, i loro figli non sarebbero venuti con delle malformazioni? Se così fosse, discenderemmo tutti da unioni tra fratelli e sorelle. Ma la Bibbia non condanna l’incesto? — Oppure: — Nella Bibbia c’è scritto che Noè fece entrare nella sua arca di tutti gli animali “il maschio e la sua femmina.” E per quelli asessuati, come fece? E come riuscì a farli entrare tutti in una sola nave? — Un’altra domanda era: — Come mai la Bibbia dice che Dio ha plasmato l’uomo dalla polvere mentre i libri di scienze dicono che si è evoluto dalle scimmie? — Per poi concludere in bellezza: — Non ha mai pensato nessuno che anche la Bibbia racconti una specie di leggenda, come quella greca di Prometeo? Ma come cavolo fanno a crederci? È piena di contraddizioni!

Qualche anno dopo, stando alle chiacchiere tra genitori, il prete aveva chiesto di contrattare a quattr’occhi con Alison Jones e le aveva discretamente fatto notare che suo figlio era un bambino impossibile, le sue domande erano troppo imbarazzati e blasfeme perché non influissero anche nella fede e nell’integrità morale degli altri ragazzi e che era meglio per tutti se se lo fosse tenuto a casa. Alison era furibonda con suo figlio e lo rimproverò come nessuno l’aveva mai vista. Corey rimase completamente impassibile.

Durante la sua infanzia, Scott se ne era sempre tenuto alla larga. Solo perché, secondo quello che gli avevano insegnato, probabilmente era la cosa più giusta. I suoi genitori non stimavano Corey come una gran buona compagnia, perciò si dimostravano soddisfatti del comportamento del figlio, il quale si limitava a fare soltanto ciò che facevano gli altri: andare a scuola, partecipare all’attività sportiva, stare con quegli amici che erano bravi ragazzi e non mettevano in discussione i valori inculcatigli, e che portavano un taglio di capelli corto e ordinato. “Ignavi e noiosi”, li definì, pensando a loro a distanza di anni.

Ciononostante egli non aveva mai avuto la forza di cambiare, di sottrarsi dall’essere un pappemolle privo di proprie scelte e vere decisioni. Gli piaceva davvero giocare a football o lo faceva solo perché verso quello sport lo aveva indirizzato suo padre? Gli stavano tanto simpatiche persone come Andrew? Ora cominciavano ad affacciarsi nella sua mente interrogativi di questo genere.

Anche durante l’adolescenza si era sempre perfettamente integrato nella comunità: bei abiti all’ultima moda, grande socializzazione, molti amici, ma nessuno veramente intimo. Aveva pure abbastanza spasimanti: tutte vestite allo stesso modo, chi più chi meno, con gli stessi capelli e lo stesso modo di fare, quasi uscite in serie dalla fabbrica. Qualora ce ne fosse qualcuna che esulava dal branco, andava a finire che neanche quella gli interessava minimamente. Ci flirtava per un po’ di tempo e poi via, come una lente a contatto usa e getta.

Intanto anche Corey stava crescendo, e diventava ogni giorno più carino. Ogni giorno i lineamenti del suo volto si facevano più affilati e gli occhi più penetranti. Era un vero incanto e se ne fregava altamente dei giudizi degli altri: si vestiva come gli pareva e portava i capelli lunghi anche se non erano di moda. Lui era senza dubbio la persona più bella che Scott avesse mai visto, più bello di tutte le attrici o le modelle della TV.

Infatti, sebbene ora non si trovassero più in classe insieme, l’istituto era rimasto lo stesso e lui aveva modo di incontrarlo in corridoio o di vederlo di sfuggita, senza contare che, appena messo piede al liceo, anche come novellino Corey riuscì subito a farsi notare, senza essere tuttavia mai etichettato come ‘popolare’. A volte Scott si scopriva intento ad osservarlo, trasognato con gli occhi languidi. Poi, rendendosene conto, si riprendeva e arrossiva per la vergogna. Com’era bello… un vero angelo. “Ma ché, sei pazzo a guardarlo così?” si rimproverava. “Che mi sta succedendo?”

Poi, quelle rare volte che Corey gli rivolgeva la parola, anche solo per un saluto, entrava in uno stato di agitazione tale da riuscire solo a trattarlo con sufficienza, sempre pronto a ripetersi: “Ma che mi importa, alla fine, di quello?” Però… guai a torcergli un capello. Diventava completamente pazzo all’idea. Quando Andrew aveva detto che voleva spaccargli la faccia, Scott già sapeva come sarebbe andata a finire.

Avrebbe voluto odiarlo per quel sentimento così turpe e riprovevole che aveva fatto nascere nel suo cuore… ma come si faceva ad odiare un ragazzo dall’aria così fragile? Sì, certo, se ne andasse al diavolo. Però dentro di sé lo amava. Non faceva che pensare a lui, il nome di Corey risuonava in ogni molecola del suo corpo e più tentava di cancellarlo, più forte una voce glielo gridava.

Da tempo ormai aveva desistito in questa battaglia. E quando gli rispondeva male poi si sentiva in colpa: faceva di tutto per farsi odiare e ciò lo faceva soffrire ancor più. Ma come fargli capire che in realtà avrebbe voluto stringerlo tra le braccia, amarlo e coccolarlo fino alla fine dei suoi giorni?

Scott non faceva altro che piangere, senza comprendere cosa avesse fatto di sbagliato dopo una vita passata a cercare di essere come tutti gli altri, per scoprire una tale diversità. Perché doveva innamorarsi di qualcuno che la società non avrebbe mai approvato (forse tollerato, ma mai approvato) per lui? Perché non poteva amare tranquillamente una di quelle sciatte e insignificanti teenagers che gli ronzavano intorno? Perché proprio Corey? Perché proprio un ragazzo?

Si chiese se davvero fosse gay. Una domanda che lo tormentava, ma di cui dopo una serie di contorte elucubrazioni mentali ormai non gli importava più niente. A volte era convito di esserlo, ma non riusciva a capirlo bene, dal momento che Corey era l’unica persona della quale davvero sentisse il desiderio. Allo stesso tempo era già stato a letto con molte ragazze: solo insignificanti scappatelle o al massimo storie mai durate più di due settimane. Non sapeva come definirsi. E cominciava anche a pensare non fosse poi così importante doversi per forza riconoscere in una delle ferree categorie sessuali prestabilite.

Trascorreva la sua vita in bilico, senza sapere se ci fosse qualcosa cui valesse la pena aspirare, se dovesse per forza avere un obiettivo. Come poteva avere un obiettivo su Corey in una situazione come la sua?

Miliardi di volte pensava a ciò che poteva succedere se addirittura si fosse dichiarato, ma non aveva il coraggio per farlo. Era un’ipotesi impensabile. E Corey come avrebbe reagito? Non lo avrebbe mai preso sul serio! Avrebbe detto qualcosa di cattivo per ferirlo: quello che sapeva fare meglio.

Nelle sue fantasie immaginava sempre che Corey andasse da lui e gli dicesse quanto in segreto lo avesse sempre amato. Pensava a quanto sarebbe stato bello… che c’era di male a sognare? I sogni restavano lì ed erano unicamente suoi. Nessuno poteva profanarli o portarli via, erano qualcosa che non avrebbe perso mai, neanche nei momenti più disperati. E lui… solo di sogni riusciva a vivere, ormai.

Andare a letto con qualcun altro ora gli avrebbe fatto semplicemente schifo. Si masturbava pensando a Corey quando era solo, la sera e la mattina nel suo letto, fingendo di essere con lui, di stringerlo tra le braccia, di venire proprio insieme a lui. Questa era la sua unica consolazione… di avere ancora i suoi sogni, di poter costruire le sue scene perfette dove Corey sembrava tutta un’altra persona e lui era finalmente felice.

Si rigirò nel letto, insonne, stanco ed ansioso. Non riusciva a dormire né a riflettere lucidamente. Solo un gran magone nel petto, un’inquietudine tormentosa riuscivano a scuoterlo da quell’apatia.

Si alzò per andare in bagno a lavarsi la faccia madida di sudore. La casa era enorme e deserta, dunque non c’era nessuno che potesse svegliare. Non che questo gli dispiacesse, almeno poteva fare ciò che gli pareva senza rotture di scatole. Da quando sua madre era morta, cinque anni prima, suo padre non aveva fatto altro che viaggiare da una parte all’altra degli Stati Uniti con Cindy, la sua nuova fidanzata ossigenata e siliconata a più non posso. Ma cosa c’era da stupirsi? In fondo Michael Carlton aveva saputo da subito della malattia terminale della moglie, sicché aveva avuto tutto il tempo per prepararsi sia psichicamente che affettivamente. Perché biasimarlo?

Se non altro, dopo la morte della madre di Scott, Michael aveva lasciato al figlio il libero arbitrio dei suoi rapporti interpersonali: poteva riportare a casa dei reduci dal manicomio e tanto non gli sarebbe importato. Vedere Corey non gli avrebbe fatto né caldo né freddo.

Tornò a letto e provò a riaddormentarsi. Un altro pensiero su Corey e sarebbe stato costretto ad iniziare tutto daccapo. Ogni volta che lo vedeva, specie se gli parlava, se lo sentiva diventare duro all’istante. Che situazioni imbarazzanti…

Ma come si era permesso, quel pezzo di merda di Andrew, di trattarlo in quel modo? Se qualcuno non lo avesse fermato Scott sarebbe stato capace di ucciderlo, ne era sicuro. Come si può fare del male a un ragazzo così bello? Come si può dimostrarsi incazzati come lo era sempre lui stesso?

Incoerenza. Confusione. Le contraddizioni della Bibbia. No, molto più logiche, le sue, e molto più vere.

Esaurimento nervoso.

Si alzò di nuovo dal letto, andò nella stanza vuota di suo padre e tirò fuori una scatola di sonniferi dal cassetto del suo comodino. Ne prese mezza pasticca. Almeno questo l’avrebbe fatto dormire in pace.

- Continua -




Vabbè dai...il 3 è corto.....metto anche il 4

Capitolo quarto
First meeting


Corey spalancò la porta del bagno della scuola sperando che dentro non vi fosse nessuno. Così almeno gli sembrò alla prima occhiata. Quel luogo era ciò che di più squallido avesse mai visto in vita sua, tanto vuoto e grigio da trascendere addirittura i paramenti delle sue barbariche predilezioni, per irrompere nella decadenza pura fino alla volgarità delle scritte porno e gli apprezzamenti dei quali i muri erano rozzamente imbrattati.

Lo detestava, eppure era l’esatta trasposizione fisica della sua anima, che allo stesso modo egli avrebbe desiderato cancellare fino all’ultimo pensiero per farsene dipingere una completamente nuova, tinta di colori vivaci e fiori nel bocciolo.

Rise ironicamente. Non l’avrebbe mai data a bere a nessuno, su quell’aspetto: gli avessero offerto di cambiarla, piangendo lacrime di coccodrillo avrebbe rifiutato senza pensarci due volte.

Si avvicinò allo specchio e guardò la propria immagine riflessa attraverso il vetro rotto e orribilmente macchiato di nero. Osservava quella sua bellezza struggente, che gli stava davanti come un demone venuto a chiedergli l’anima. Il viso minuto e dai lineamenti affilati, gli occhi languidi e grandi, chiari come il cielo di un’alba autunnale, le labbra rosse e sensuali, la bocca forse leggermente troppo larga ma perfettamente proporzionata e delicata, come il capolavoro di un pittore di miniature: un luccichio di azzurro e rosso sul volto.

Era proprio quella bellezza a farlo sentire così tragicamente solo. Sentì affiorargli le lacrime agli occhi e d’improvviso gli fu impossibile trattenersi dal piangere. Si portò una mano sullo zigomo che Andrew gli aveva colpito constatando che, nonostante fosse trascorsa una settimana e non si vedesse quasi più niente, faceva ancora un po’ male.

Mandy non gli aveva parlato molto spesso da quando l’aveva trattata bruscamente al telefono. Continuava a salutarlo, certo, a scambiare con lui qualche vaga parola sulla scuola, ma niente di più. A Corey in effetti non importava.

Lo tormentava quell’essere tanto incompreso al mondo, quell’impossibilità di raggiungere la felicità che amava e desiderava, quella pienezza di vita esistente solo nelle più belle utopie e mai nella realtà. Non riusciva a trovare rifugio in nessuna forma di arte, per quanto le adorasse tutte. Non c’era scampo.

Quasi incredulamente sentì, con non poco stupore, la propria voce gemere singhiozzi in una disperazione infinita e indescrivibile. — Non ne posso più, — piangeva con voce spezzata. — Non ce la faccio più… Odio questa vita! — Si coprì il viso con la mano destra.

— Corey… ti senti male? — gli chiese improvvisamente la voce di un ragazzo.

L’aveva udita davvero o se l’era semplicemente sognata? Era possibile, gli succedeva spesso. Ma non in quell’occasione. Sentendosi agghiacciare, si rese conto di non trovarsi da solo in quell’ambiente, ma di essere stato osservato da qualcuno per tutto il tempo. Lo aveva chiamato per nome, eppure non conosceva quella voce. Sapeva solo che era la voce più splendida che avesse mai sentito.

Ovviamente non poteva mascherare le lacrime. Cercò di asciugarsi il viso con indifferenza, una lieve strisciata di mano. — No… ― bofonchiò goffamente, — va tutto bene.

Si voltò verso il suo interlocutore e dapprima credé di non averlo mai visto in vita sua. Rimase di sasso, quasi pietrificato. Accanto gli stava un ragazzo dalle fattezze deliziose. Era alto più o meno quanto lui, dalla figura elegante. Gli abiti chiari che indossava ne mettevano in luce lo splendido portamento e la graziosa leggerezza dei gesti. Teneva una sigaretta fra il medio e l’indice della mano sinistra, dalla quale saliva un’esile striscia di fumo che andava a sbattersi contro il soffitto. Anche quell’oggetto assumeva un aspetto leggiadro addosso a lui.

Ma più di tutto fu il viso ad attirare su di sé l’attenzione di Corey: aveva due occhi che potevano essere quelli di una strega o di un angelo, grandi e distanti, da conferirgli un aspetto di innocenza pura, quasi infantile. Ed erano verdi, avvenenti, di una tonalità chiarissima e assolutamente limpidi anche nella penombra.

La linea del viso era fine, splendidamente modellata, e la pelle lattea che pareva effigiata dalla panna. I capelli piuttosto lunghi gli ricadevano a metà collo lambendogli dolcemente i lati del volto, folti e leggermente ondulati, di uno splendido castano dorato. Le sopracciglia, chiare e sottili, incorniciavano con espressività quel volto già bellissimo per natura, e Corey si rese subito conto che se lo avesse scorto in mezzo ad una folla avrebbe comunque trovato qualcosa di speciale in quel viso. Era la dolcezza, su questo non nutriva dubbio. La sensualità della morbida curva delle sue labbra gli fece subito venire in mente una frase del Ritratto di Dorian Gray: “Il mondo è cambiato perché tu sei fatto d’avorio e d’oro… la curva delle tue labbra riscrive la storia”.

— Chi sei, tu? — domandò Corey preso alla sprovvista.

— Sono Damon Marshe. Non ti ricordi di me? Ci ha presentato Mandy qualche giorno fa.

La sua voce era… come dire? Leggera come i passi di un elfo che danza sul petalo di un fiore. Elegante e allo stesso tempo distaccata, dal suono limpido e vellutato.

Damon… era davvero lui! Lo splendido ragazzo che stava con quella tipa scialba e priva di significato che era amica di Mandy. La coppia cui Corey, da gran maleducato, si era rifiutato di rivolgere la minima parola nella sua spudoratamente ostentata indignazione. Ed ora Damon lo salutava con affabilità disarmante.

Fidanzato di quella lì, amico di quelli lì. Non riusciva a crederci.

Farfugliò qualche scontata parola di scusa. — Certo che mi ricordo di te, — disse. — Perdonami, è che da un po’ non ci sto molto con la testa. — Sentendo il bisogno di giustificarsi prima che Damon affermasse qualunque altra cosa, aggiunse: — Avrai pensato che sono un matto. Credevo non ci fosse nessuno, altrimenti non avrei…

— Capisco come ti senti, — sussurrò l’altro.

In circostanze normali a Corey sarebbe venuto da ridere. Invece riuscì soltanto a chiedergli: — Come puoi saperlo?

— Non so che ti è successo, ma capisco che a volte si possa odiare la propria vita, che spesso non sia proprio il massimo della bellezza. — Tirò una boccata di fumo con una grazia eccezionale. Per un attimo a Corey sembrò un poeta bohemien, nonostante gli abiti di classe.

— Mi dispiace per quello che ti è successo con Andrew, — gli disse Damon dolcemente, ed egli notò una nota di vera tristezza nei suoi occhi. — Come ti senti, ora?

— Non mi ha fatto nulla che mi abbia ucciso, ma per questo devo ringraziare Scott. Ha avuto un buon tempismo, anche se non capisco perché l’abbia fatto.

— Scott Carlton? Perché non avrebbe dovuto? Avrei voluto farlo io.

Corey fece una risatina inquieta immaginando l’assurdità di quell’ultima affermazione: Andrew era come minimo il doppio più largo di quel sottile ragazzo che gli stava di fronte. — E perché mai tu? — ribatté.

— Perché odio Andrew.

— Tu? Non hai la faccia di uno che odia.

Damon accennò un sorriso malinconico che accentuò ancora la sua bellezza. — Ho creduto fossi svenuto… quando ti ho chiesto se stavi bene non mi hai risposto.

Corey rimase a fissarlo per un momento interminabile. — Eri tu…? ― mormorò.

— Mi sa che devo tornare in classe, — sussurrò lui. — Sono stato via un’infinità, il prof si irriterà di sicuro. — Spense la sigaretta e la gettò via. — Dovrei smettere, — commentò.

— Eh sì, dovresti proprio.

— Per adesso ti saluto, Corey. Tanto ci rivedremo spesso.

— Certo.

Damon si avviò lentamente alla porta e quando se ne fu andato, l’altro rimase ad osservare in quella stessa direzione per ben più di un minuto senza distogliere lo sguardo, quasi incantato.


Andrew non dava segni di voler infierire nuovamente. Sembrava tenersi alla larga da Corey come aveva sempre fatto e pensare soltanto a conseguire i suoi ampi successi nel glorioso mondo del football. A Corey non sortiva né caldo né freddo. Con la sfacciataggine più sfrontata, non aveva la minima esitazione a trovarsi nei posti che bazzicava il capitano, sebbene fossero completamente diversi dai suoi.

Mandy continuava a frequentare lo stesso gruppo di amici di Andrew, con le sue compagne Ceer-Leaders e i loro rispettivi fidanzati quasi tutti degli sportivi e dell’alta società. Pareva si fosse molto riavvicinata al suo ex-ragazzo e probabilmente sarebbero tornati insieme, visto che Andrew non faceva che reclamare la proprietà ‘legale’ della ragazza, gli mancava giusto un documento scritto. Alla mensa la loro compagnia si riuniva occupando anche più di due tavoli vicini.

Corey non sapeva mai dove sedersi, perché in effetti di amici non ne aveva. Solitamente durante l’ora del pranzo finiva per starsene solo in giardino a leggere qualche libro con un lecca-lecca alla ciliegia in bocca, sorseggiando un succo d’arancia o qualunque altra cosa non implicasse troppa attenzione visiva. Si annoiava da morire, nonostante tentasse di lasciarsi trasportare dalle malefiche suggestioni di Baudelaire o dai turbolenti scenari apocalittici dei poeti decadenti. Ogni tanto alzava lo sguardo, infastidito dalle urla stridule delle ragazzine vanesie che tentavano di farsi notare dai loro prediletti e disgustato dalle immancabili piccole risse quotidiane tra i ragazzi più rozzi e violenti.

Vide Paul Richmond, accortamente sistematosi nell’angolo più riparato di un tavolo in fondo alla stanza, completamente solo. Qualche posto più in su c’erano alcuni ragazzi del giornale, ma non gli prestavano molta importanza.

— Vuoi che mi sieda con te? — gli chiese Corey.

— Fa’ un po’ come ti pare, — fu la sprezzante risposta.

— Sei acido come il latte andato a male.

— Ah beh, senti chi parla! — ribatté Paul. — Dovrei forse porti i miei ringraziamenti, se il capitano della squadra di football ha quasi tentato di ammazzarmi? — Parlava stentatamente, quasi balbettante. Vedendolo così non si sarebbe certo detto fosse un genio con la media del nove. Si sistemò nervosamente gli occhiali riprendendo a mangiucchiare la sua fettina scondita. Corey si chiedeva come riuscisse a non vomitare soltanto a guardare quella roba.

— Non vorrai prendertela con me per questo, — gli rispose calmo. — Lo sai che non ho fatto niente.

— Qualcosa devi aver fatto sicuramente, per averlo indispettito così. E, te lo chiedo per favore, non darmi troppa confidenza al di fuori dell’ambito lavorativo. Mi dispiace, Corey, davvero, ma hai il potere di attirare su di te le ire degli altri, e io semplicemente non voglio andarci di mezzo.

Corey prese un sospiro doloroso, avvertendo la sensazione di un nodo alla gola. Non gli andava neanche più quell’orribile cappuccino che aveva comprato. — Ascolta, Paul, — gli disse cercando di non alzare la voce, — ti stai comportando da idiota, proprio come farebbe Andrew. Pretendi di scrivere di politica e giustizia, e poi ti comporti con me come se la colpa di quanto è successo fosse mia. Mi spiace che ti abbia aggredito, mi spiace se ti ha spaventato. Se sono le scuse che vuoi, allora scusa. Alla fine non ti ha fatto niente.

— Lascia perdere, Corey, va bene? — fece l’altro con voce atona e asettica. — Chiudiamo quest’argomento.
Naturalmente era arrabbiato con lui. Non che a Corey importasse granché di quel sentimento, più che altro lo mandava in bestia il motivo che lo aveva suscitato. Ma era abituato a convivere con simili ipocrisie e non aveva mai considerato Paul come una persona con cui mantenersi in buoni rapporti. A dire la verità nella vita, li aveva sempre buttati all’aria, i suoi rapporti.

Mise in bocca il suo lollypop a forma di bon-bon e si mise a osservare le comitive della scuola intente nelle quotidiane e ricreative arti del pranzare e del conversare. Scott era seduto accanto ad alcuni suoi compagni di classe tra i quali si trovava anche qualche componente della squadra di Andrew che gli era restato solidale. Per una volta aveva i capelli ben pettinati, liscissimi e di un lucido nero corvino. Non erano molto lunghi, e per questo gli davano un’anomala aria da bravo ragazzo che poco gli si addiceva. La mascella forte ma a suo modo delicata, i lineamenti squadrati ma sottili ed il piacevole contrasto chiaroscuro tra la pelle e i capelli lo facevano quasi sembrare attraente. Niente a che fare con certe altre bellezze che aveva incontrato di recente, quello era ovvio.

Ma in quel momento Scott aveva l’aria di non sentirsi molto bene: era pallido come un fantasma e piuttosto taciturno, sguardo sfuggente e labbra serrate. Corey non aveva idea di quello che gli passasse per la testa e non riusciva a capire perché si fosse comportato in modo simile, lui che sembrava tanto fedele alla squadra e al suo energico leader. Forse si era stancato del football ed aveva semplicemente utilizzato l’occasione come pretesto per andarsene senza dover fornire troppe spiegazioni. Non stava a lui interessarsene.

Rivolse invece l’attenzione al tavolo di Mandy, ma l’oggetto della sua ricerca non era ovviamente l’appariscente Ceer-Leader, quanto il fidanzato della sua amica. Gli ci volle del tempo prima di riuscire ad intercettarlo con lo sguardo: purtroppo era voltato di spalle e vicino a lui era seduta quella sciacquetta insignificante. Come aveva detto che si chiamava, Mandy? Qualcosa come Leni o Lena.

Damon aveva dei capelli a dir poco meravigliosi e si muoveva con gesti aggraziati e misurati, in un’armonia quasi neoclassica. Ogni volta che si erano incontrati in quegli ultimi giorni, seppur di sfuggita nel corridoio o in mezzo alla calca di gente all’uscita della scuola, Damon lo aveva sempre salutato molto affettuosamente con un sorriso luminoso, mentre la sua ragazza a malapena alzava lo sguardo con una strana smorfia mista tra indifferenza e fastidio. Li vedeva quasi sempre insieme, a volte persino mano nella mano e si sentiva bruciare dall’ira, di fronte a quella visione, chiedendosi perché Damon continuasse a frequentare il giro di Andrew, se lo odiava come gli aveva detto lui stesso. A guardarlo bene veniva da chiedersi: “Ma che diavolo c’entra, con loro?”

Non era certo il ragazzo che a prima vista si sarebbe definito un dandy viziato come quei grotteschi individui che di solito gli giravano intorno. I suoi non erano dei capelli da conformista, tanto erano lunghi e fluenti. Per non parlare poi di quei fantastici stivaletti che indossava talvolta: rispecchiavano uno stile vagamente glam ed erano stretti sulle punte e con almeno cinque centimetri di tacco. Corey immaginava quanto coraggio ci volesse ad indossare articoli di quel genere in simile compagnia. Vederlo insieme a loro lo avviliva ed a sconfortarlo era soprattutto il fatto che, se Damon era amico di quei ragazzi, sicuramente gli stavano bene e gli stava bene il loro modo di vita. Non c’era altra spiegazione.

Sapeva che non sarebbe mai potuto diventare amico di uno come lui. Neppure si conoscevano e non c’entravano niente l’uno con l’altro, quindi doveva per forza farsene una ragione.

Lanciò un’ultima occhiata su Scott, quasi attirato verso di lui come una calamita. Notò che lo stava guardando, ma appena sentì gli occhi su di sé ritrasse subito lo sguardo. Pareva imbarazzato, lievemente indispettito.

— Hai finito di contemplare l’universo? — gli chiese Paul ad un tratto, riportandolo alla situazione presente. Pareva essersi calmato, grazie al cielo.

— Me ne vado, — gli disse Corey.

— Non hai neanche toccato questo tuo intruglio.

— Te lo puoi bere tu.

— Non posso, sono allergico al latte.

— Allora perché non lo dividi dal caffè molecola per molecola, tu che sei così bravo in Chimica?

— Vacci piano con il cinismo, — ribatté Paul riluttante, mormorando qualche leggero insulto sottovoce. — E questa sera, per favore, vieni puntuale. È pronta quella recensione che volevi scrivere su Oscar Wilde?

— Ci sto lavorando su.

— Per me sarà un fiasco.

— Molto probabilmente. Anzi, di sicuro.


Scott riprese a fissare il piatto vuoto che aveva davanti agli occhi come fosse stata la cosa più interessante del mondo. Si sentiva le guance in fiamme.

Nulla al mondo poteva descrivere la bellezza di Corey in quel momento, mentre si guardava intorno con aria trasognata e fieramente disinvolta, succhiando quel lecca-lecca rosso scarlatto. Scott tentava di rimirarlo con la coda dell’occhio, non senza notare la sconcertante ed inconsapevole carica erotica di quel suo gesto innocuo.

Si accorse che le mani gli tremavano, tanto che un suo amico gli chiese se stesse bene. Rispose di sì, risparmiandogli il fatto che gli stesse salendo un’erezione: quanto al resto stava bene.

Tenne per sé tutta la sofferenza e l’angoscia che provava. Quando… quando quella specie di Mefistofele avrebbe smesso di esercitare il proprio ascendente su di lui? Non ne poteva più. Stava per scoppiare. Avrebbe voluto urlare, sparire all’istante dalla faccia della terra.

- Continua -
 
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