Corey And Damon

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Loveless
icon12  view post Posted on 16/3/2008, 19:37 by: Loveless




Questa fan fict non l'ho scritta io,ma una ragazza del forum dell'ysal,Susy
Ysal Forum

La posterò cui di seguito perchè è davvero un romanzo stupendo(se ne fa un libro diventa milionaria)



Titolo: Corey e Damon

Autrice: Susy
Rating: NC17 (tutto per le lemon)
Capitoli: 35 più epilogo, già terminati.
Disclaimer: Sia personaggi che storia sono puramente di mia invenzione.

Nota introduttiva: Lo ho pubblicato anche da un’altra parte, perciò è probabile che qualcuno già lo conosca. È il mio primo romanzo, per la cui stesura ho impiegato quasi quattro anni (2002-2006), e vi sono molto affezionata. La trama, nuda e cruda, tratta semplicemente dell’amore segreto e tormentato tra due diciottenni – tra cui uno fidanzato ufficialmente –, molto simili e differenti allo stesso tempo: due anime artistiche e filosofiche che daranno luogo ad un rapporto intellettuale oltre che fisico e non mancheranno di scontrare i propri pareri – spesso divergenti – in vibranti elucubrazioni mentali, talvolta affannose, taglienti, estremiste. Il tutto immerso in un’atmosfera d’immagini poetiche, romantiche e decadenti, mare in burrasca e descrizioni baroccheggianti. È un’opera piuttosto bizzarra, che mira a fissare i sentimenti e le sensazioni di un difficile periodo di trapasso come quello tra l’adolescenza e l’età adulta.

Avvertimenti:C’è qualche sfumatura shota. I protagonisti sono due uke reversibili (lo dico per evitare eventuali delusioni), ciononostante non manca la presenza anche della componente semosa.
Il primo capitolo descrive sommariamente una lemon etero, ma poi tutto il romanzo è inequivocabilmente yaoi.

Se desiderate lasciare commenti, sarò felice di sapere cosa ne pensate. Grazie in anticipo a tutti i lettori.

COREY E DAMON

Capitolo primo
Corey and Mandy


Capelli rossi e ondulati, dai riflessi splendenti. Non quel rosso carota che siamo portati a immaginarci quando pensiamo ai “capelli rossi.” I suoi erano del colore del rame, serici e sottili, e gli incorniciavano il viso come quelli di un angelo delle pitture rinascimentali fino a toccargli le spalle.

Forse furono i capelli, per primi, a colpire l’attenzione di Mandy. Ma poi di sicuro aveva notato anche la regolarità perfetta di quel viso, i grandi occhi azzurri, il naso leggermente alla francese, le labbra rosse e sensuali, una bocca… che, come spesso aveva detto lui stesso, non stava zitta un momento.

Tutti si stupivano del fatto che una ragazza come Mandy fosse attratta da una bellezza così androgina. Sulla bellezza di Corey, certo, non c’erano dubbi. Poi si poteva giudicarla infondata, senza il minimo valore, per quelle persone a cui piace l’uomo virile, o semplicemente perché qualche donna avrebbe desiderato possederla sul proprio volto.

Ma Mandy si infatuò, rimase come stregata da lui.

Si incontrarono qualche giorno prima dell’inizio della scuola, in una biblioteca dove lei era andata per una ricerca di storia assegnata per le vacanze estive. Gli chiese se poteva sedersi al suo stesso tavolo, visto che nei paraggi non c’erano posti liberi. Corey le fece segno di sì senza neanche guardarla. Indossava una camicia bianca a maniche corte e stava leggendo un grande libro dalla copertina marrone scuro.

Lei era felice, quel giorno, di aver impiegato tanto tempo a limarsi le unghie e a fare la messa in piega ai suoi lunghi capelli schiariti dai colpi di sole. — Di che libro si tratta? — domandò nella speranza che la guardasse.

Egli difatti sollevò gli occhi. — È un libro di mitologia celtica. — Come lo diceva bene! Mitologia.

— Sembra molto vecchio.

— No, non credo. È la copertina che è fatta su stampo di quelle antiche.

Riprese a leggere. Mandy non poteva permetterlo. — È interessante?

— Non particolarmente.

Mandy osservava ogni particolare del suo volto, innamorandosi di quella pelle liscia come seta. “Penserà qualcosa di me?” si chiese. “Penserà che sono carina?”

— Perché? — ribatté lei.

— Non dice niente di nuovo. Cose che già so. — Corey fulminò con lo sguardo la bibliotecaria che li ammoniva tacitamente di fare silenzio. Non che volesse continuare a chiacchierare con la ragazza, ma non accettava alcun tipo di ammonizione neppure in sordina.

— Mi interessano molto queste cose, — mentì lei che in realtà non sapeva neppure che fosse esistita una civiltà celtica. — Per cosa ti servono?

— Semplice curiosità, — rispose Corey stringendo le spalle. Mentì anche lui, a tale proposito, poiché in effetti stava scrivendo un racconto su quegli argomenti.

— E che cosa c’è scritto, lì?

— Parla dei sacrifici umani. Le stesse notizie che scrive anche Giulio Cesare nel De bello gallico.

— E come li facevano, questi sacrifici? — chiese lei, anche se non le andava affatto di sentire quelle storie.

— Venivano costruite delle enormi prigioni di legno dalla forma umana dove erano rinchiusi tutti i reietti, i ladri e i malfattori. Poi appiccavano il fuoco e quelli bruciavano vivi. Un rogo collettivo.

— Oddio, che cosa macabra.

— Eppure è successo davvero, e chissà quante volte. Il mondo non ha mai smesso di compiere sacrifici umani. I capri espiatori nel paganesimo e le streghe durante la Controriforma.

Mandy si sentiva turbata, e per un attimo si chiese se fosse il caso di continuare. Nonostante fosse un ragazzo piuttosto inquietante, era troppo bello per lasciarselo scappare. — Comunque… ― disse facendo la sua vocina più dolce, — io mi chiamo Mandy Lowell.

Corey fu colpito alla sprovvista da quella vocetta plastificata che, dopo che lui aveva parlato di sacrifici umani, come se non lo avesse ascoltato gli sbatteva davanti quello stupido nome insignificante, da bambolina viziata. Con poco entusiasmo le disse il suo.

“C’è qualcosa che ho sbagliato?” si chiese lei. Cercò di rimediare: — Perché non andiamo a parlare in un posto dove possiamo farlo più liberamente? Magari…

— Magari un’altra volta.

— Ma ci rivediamo, no? Tu vieni qui spesso?

— Anche troppo.

Mandy era raggelata. Lo guardò senza capire più niente. — Sai, — tentò ancora una volta, — mi sembrava di averti già visto da qualche parte. A scuola, forse.

Svogliatamente, Corey la informò su quale liceo frequentasse ed appurarono che era lo stesso, anche se stavano in sezioni diverse.

— Proprio una gran coincidenza, non credi? — ribatté Mandy entusiasta. — Io conosco un sacco di gente, ma a te non mi aveva presentato ancora nessuno. È un vero peccato, mi sarebbe piaciuto conoscerti prima. Sei proprio sicuro che non ti è mai capitato di sentire il mio nome? Sono famosa, al liceo. L’anno scorso sono stata reginetta della scuola e voglio riprovarci anche quest’anno; chissà che la fortuna non sia dalla mia parte. D’altronde sono diventata più carina e se sono piaciuta allora, perché non dovrei piacere adesso? E poi sono il capo delle Ceer-Leaders. Dai, possibile che non mi conosci? Non sei mai stato a vedere una partita di football?

Mandy non riusciva a capire se lui la ascoltasse o meno. Teneva lo sguardo basso sul libro e pareva stesse leggendo. — Il football non mi interessa, — sussurrò dopo qualche secondo, a voce bassa e piuttosto distaccata.

— Bene, allora facciamo conoscenza adesso. Stai con qualcuna?

A quella domanda, Corey alzò gli occhi su di lei visibilmente annoiato. — Oh, ti prego, — replicò con un mezzo sospiro. — Sono venuto qui per leggere in pace. Se vorrai parlare, tra una settimana ci vedremo a scuola.

Mandy rimase come una statua di sale. Per tutta la vita era stata abituata ad avere i ragazzi ai suoi piedi, che facevano la fila per uscire con lei, per farle regali ed essere accettati da lei. Ora chi era questo impertinente per rifiutarla in modo così palese?

— Beh, ti lascio il mio numero di telefono, se cambi idea. — Scrisse il numero in un foglietto e lo appoggiò sul tavolo, accanto a lui. — Tu mi piaci, nel caso non lo avessi capito, — gli disse mentre si alzava per andarsene.

Per tutto il tempo sperò che lui la chiamasse per farla tornare, ma non accadde nulla. Se ne restò lì, assorto nella lettura. Sulla porta Mandy si voltò ad osservare quel suo profilo netto e sottile, che esprimeva una fragilità incredibile. Più lo guardava e più si sentiva indispettita. Finalmente un ragazzo che le piaceva davvero e lui non la voleva!

In quel momento giurò a se stessa che non sarebbe finita lì.



Corey camminava per strada di sera tardi.

Nei marciapiedi squallidi e grigi altro non era che una figura inquietante, ambigua, spaventosamente angelica. Alle coppiette abbracciate e infreddolite dai primi venti della stagione, alle comitive un po’ brille dirette in qualche night club, il suo incedere elegante quasi lo faceva sembrare una presenza eterea, soprannaturale, appartenente alla dimensione inumana di un demone o di un vampiro.

Non era da tutti i giorni incontrare un ragazzo dall’aria efebica e i capelli riccioluti che fluttuavano al vento ricadendo sul colletto della giacca nera a doppio petto, stretta in vita. A guardarlo da lontano pareva più alto di quello che era (un metro e settanta o poco più), proprio per merito di quella sua figura longilinea e perfettamente proporzionata su cui spiccavano le lunghe e dritte gambe.

Con splendida disinvoltura attraversò il tratto più illuminato della via dove brillavano le luci dei bar in procinto di chiusura e si sentivano voci di giovani e anziani riunitisi insieme ad ubriacarsi. Passava talvolta di fronte a certi locali di dubbia reputazione, attorniati da parcheggi poco sicuri, immersi nelle tenebre; guardava con occhi languidi l’arcano fascino della decadenza nei vecchi muri scrostati di palazzine fatiscenti, delle quali edera e muffa avevano preso dimora, e gli scuri gatti randagi dal pelo arruffato, con gli occhi luccicanti nella notte. Nutriva attrazione riguardo a tutto ciò che era tenebroso, buio, incompreso e reietto come la sua anima. Tutto questo ammirava, incantato, ascoltando la subdola, struggente, minacciosa musica che ne proveniva.

Oltrepassò poi i romantici viali alberati dai quali di nuovo poteva avvertire le ritmiche onde infrangersi contro la spiaggia, seguendo il morbido, cadenzato fruscio marino. Nell’oscurità distingueva la spumeggiante schiuma bianca dell’alta marea e, se era una notte luminosa, l’argenteo riflesso del cielo stellato sullo specchio scabro dell’acqua: lo commuoveva e lo riempiva di un’angoscia agghiacciante.

La malinconia lo pervadeva ed avrebbe voluto essere in un altro luogo, come in una città artistica e dal passato glorioso: Parigi, Londra, Venezia, Roma… Il sogno di Corey era comprare delle preziose antichità sottobanco o di farsi accompagnare in qualche luogo misterioso e sconosciuto da individui strani e poco raccomandabili. O forse, semplicemente gli sarebbe bastato poter avere qualcuno che capisse quei dolorosi sentimenti che provava in ogni momento la sua anima tormentata.

Oh, come avrebbe voluto non essere solo di fronte a tutti i problemi del vivere al mondo! Quando era piccolo sognava qualcuno che gli tendesse la mano, che lo portasse via da quella vita che per lui non voleva dire niente, che facesse ordine nella sua testa confusa porgendogli in un piatto dorato ogni verità oggettiva dell’esistenza. Utopie, Corey, utopie. Ora gli sarebbe bastato qualcuno che lo amasse. Ma Corey non ricordava un tempo in cui quel suo insopportabile nichilismo era venuto meno anche solo quel poco che bastava per fargli credere che l’amore puro esistesse nella sua pienezza effettiva. Si domandava se e quanto le leggi estetiche incidessero in tutto ciò. “Noi siamo quello che è il nostro aspetto”, aveva un giorno pronunciato il protagonista di un suo racconto, e Corey lo credeva veramente: non c’era verità più sacrosanta che dire che l’intero universo era governato da leggi estetiche.

Il mare lo estasiava. Dal viale si vedeva anche quella splendida villa che di tanto in tanto egli stesso si fermava ad ammirare, a debita distanza, mentre passeggiava sulla spiaggia. Era immensa e stava proprio di fronte all’oceano, tanto che chi si affacciava sul balcone poteva averne l’infinita distesa azzurra davanti agli occhi: per Corey era qualcosa di magnifico.

La villa era gotica, aveva le finestre di una forma svettante che gli provocava inquietudine solo a guardarla. Il giardino, poi, sembrava lussureggiante e inespugnabile come quello di un antico palazzo rinascimentale. Naturalmente quell’abitazione non era antica a tal punto, ma ispirava un grande fascino in ogni sua fessura ed il giardino si faceva molto desiderare, nei suoi alti cancelli e gli scorci di candide statue classicheggiati che era riuscito ad intravedere senza avvicinarsi troppo.

Un giorno aveva notato la figura splendida di una persona appoggiata alla balaustra che dava sulla spiaggia. Non era riuscito a vederla bene perché era in controluce, sicché aveva potuto distinguere solamente una sagoma scura stagliata contro il sole al tramonto. Era senza dubbio un ragazzo, ma aveva i capelli svolazzanti ed era slanciato ed elegante, coi gomiti sulla ringhiera e la gamba destra leggermente piegata. Gli era piaciuta tanto, quella visione, che era rimasto a guardarla finché il giovane non era rientrato in casa, appena all’inizio del crepuscolo. Poi non gli era più capitato di vederlo intorno al palazzo, neppure qualcuno che gli somigliasse, ed aveva lasciato perdere. Continuava però ad immaginarsi quanto fosse bello abitare in quello splendore di villa che emanava una luce arcaica e misteriosa, assolutamente allettante.

Anche quella sera si fermò a guardarla per qualche minuto ergersi fiera e maestosa, vicinissima alla spiaggia. Nel fresco profumo degli alberi in periodo autunnale, lontano dal centro della città, tra i vicoli bui, a rompere il suo idillio solitario non mancò il pervertito di mezza età, dall’aspetto distinto e di famiglia illustre, che gli si avvicinò chiedendogli gentilmente: — Che fai tutto solo a quest’ora, carino? Cerchi forse qualcuno? Se mi dici quanto vuoi per una notte possiamo metterci d’accordo.

— No, la prego, mi lasci in pace, — gli rispose Corey. — Non voglio certe cose. La prego, se ne vada.

— Andiamo, — insistette l’altro. — Uno come te non viene qui senza pensare di essere scambiato per una marchetta.

— Davvero, non lo sono. Vada da qualcun altro. — Con queste parole tirava dritto per la sua strada senza rivolgere neppure un ultimo sguardo al suo abbordatore.

Tuttavia ciò non gli importava. Era abituato ad ascoltare le richieste indecenti degli omosessuali repressi che volevano portarselo a letto in cambio di denaro e gli si negava nella più totale indifferenza, perfettamente consapevole del fatto che se si fosse presentato in maniera diversa non gli avrebbero mai ostentato certe proposte. Ma cambiare la sua personalità per adattarsi al resto della massa era l’ultima cosa che Corey avrebbe accettato. Non avrebbe mai tagliato i suoi capelli, non avrebbe smesso di stendere sulle labbra il burrocacao alla ciliegia e mai indossato abiti completamente sportivi, se non nell’ora di Educazione Fisica. Non gli importava minimamente di ciò che pensasse la gente intorno.

Quando tornò a casa, dopo mezzanotte, notò subito che l’auto di sua madre ancora non si trovava in garage. Sarebbe passata almeno un’ora prima del suo ritorno. Tutte le luci erano spente: non c’era neppure la sua sorellina Britney, che quella notte restava a dormire da un’amica.

Salì nella propria camera, posò la giacca sul letto, aprì un quaderno e con una penna viola scuro scrisse:

12 settembre 1997

Come posso anche solo sperare di diventare un grande scrittore se non ho mai provato passioni folli, tormenti incontenibili o sentimenti sconvolgenti nel mio cuore? Non ho mai avuto l’ossessione per qualcuno o qualcosa tranne che per lo scrivere, se così è lecito chiamarlo. Il punto è che si possono creare passioni folli nella finzione letteraria, impossibili sono nella nostra piatta e fangosa realtà di ogni giorno. Io sono freddo, asettico come il ghiaccio, e come tale cerco la purezza più nitida.

Posso dire di incontrare persone interessanti, date le mie attuali esperienze? No. Non ho mai amato nessuno di loro. Nessuno di loro è mai stato puro ed io, giorno dopo giorno, vengo a contatto con persone sempre più grette, miranti semplicemente alla propria accettazione in questa orribile società: persone plastificate, preparate in fabbrica in serie illimitata, con pochi pensieri propri e un cervello in comune che ragiona a scopi di meschino interesse. Nessuno si preoccupa di avere pensieri personali nella sua testa. Sono troppo estremista se dico così? La maggior parte della gente, nella società “normale”, non mira ad altro che a far colpo sull’altro sesso, più o meno come fanno gli animali.

C’è questa ragazza, ad esempio, che ho incontrato in una biblioteca nella quale si trovava per caso ed in modo alquanto coatto: mi si è avvicinata e ha cominciato a chiacchierare e chiacchierare, nel modo stupido e petulante che hanno certe tipe, vantandosi di continuo, anche se in un modo del tutto casuale, di quanto sono belle e popolari. Questa, poi, era lo stereotipo in persona della Ceer-Leader. Anzi, non credo proprio di aver mai visto nessuna stereotipata come lei: pareva uscita da uno di quei telefilm che portano in scena la famiglia americana ricca e perfetta coi suoi problemi frivoli e insignificanti. Spesso mi sono chiesto se nella testa di persone come questa Mandy si affacci mai un pensiero davvero preoccupante che non sia lo smalto male abbinato con le scarpe.

Ma chi sono io per giudicare, dal momento che siamo stati a parlare solo per pochi minuti? Certo, non ha mancato di chiedermi se avevo una ragazza. Una domanda da ridere! Figuriamoci, passeranno millenni prima che ne trovi una che mi vada bene! Povera cara, che cosa doveva pensare, lei, se non all’accoppiamento? La mia porta sarebbe aperta a chiunque, se solo qualcuno avesse il coraggio e i requisiti adatti per spingerla. Ma avanti di questo passo resterò solo per il resto della mia vita e io non voglio, perché non c’è niente che mi faccia più paura.

Capisco quanto io sia stato poco delicato con quella povera e ingenua creatura che cercava solo un fidanzatino, ma detesto quel genere di comportamento! Sì, lo so, sono davvero impossibile da trattare e non credo mi andrà mai bene nessuno. La solitudine è il destino di quelli come me, qualora altri ce ne siano, poiché in questo caso avrei piacere ad incontrarli.

In fondo, povera ragazza, non era altro che una femmina di sani principi… più o meno, visto che ha scelto me, che non sono proprio un gran sano principio.

Ho conosciuto, poi, anche l’altro lato della medaglia. Ecco la persona che voleva scoparmi questa sera: sarà stato sulla cinquantina, coi capelli brizzolati e l’impermeabile grigio che lasciava intravedere un elegante completo scuro in giacca e cravatta, perfettamente stirato anche dopo una giornata di lavoro trascorsa probabilmente in qualche facoltoso ufficio con l’aria condizionata e i mobili costosi. Ora, al novanta per cento delle possibilità, l’uomo ha due adorabili figlioli, una moglie che non sospetta dei suoi piccoli vizi con i ragazzi, un cane e una Mercedes: vale a dire una vita perfetta, agli occhi di tutti. Ecco, questo è il classico esempio della persona che mi fa vomitare, che si vergogna della propria anima e la tiene chiusa in un angolo, ben coperta da una finzione senza limiti.

Come si può vivere così? Come si può fingere con se stessi? Dov’è finita la propria coerenza, la propria morale?

La mia anima è quello che vedete, la mia anima è il mio corpo. Nulla di più, nulla di meno.


Già dai primi giorni di scuola Mandy aveva continuato a stargli dietro e a tentare di instaurare con lui una conversazione che non fosse troppo impegnativa e mettesse ben in risalto le sue spiccate qualità socializzanti ed intrattenenti. Prima della lezione e quasi ad ogni cambio dell’ora, Corey si ritrovava davanti quel visetto perfettamente incipriato che lo salutava con uno studiato sorriso a novanta gradi e cominciava a chiacchierare, in modo spedito e molto brillante, con la sua vocetta acuta sempre sprizzante allegria. Quanto gli dava sui nervi quel genere di oche sempre felici in ogni momento, con quell’aria ‘facilona’ stampata sul volto! Ma era legittimo, per persone come lei che avevano sempre avuto la pappa scodellata nel piatto.

Le prime volte avevano parlato della scuola, con qualche banale apprezzamento sui professori o pareri sulle materie, che qualche volta Mandy non riusciva ad afferrare completamente, dissimulando in modo perfetto ogni più piccola mancanza.

Per Corey la sua presenza era più fastidiosa che indifferente: quando la vedeva scambiava con lei quattro chiacchiere tanto per farlo, non gli sembrava un tipo particolare o interessante, né certamente avrebbe sentito la sua mancanza se avesse smesso di cercarlo. Era sicuro che da qualche parte quella ragazza avesse una valanga di amici che ridacchiavano delle sue nuove conoscenze poco consone al carattere popolare del giro che frequentava. D’altronde quando camminavano insieme per il corridoio, Mandy stava sempre a salutare gente a destra e a sinistra, tanto impegnata in quest’attività che raramente riusciva a concludere un discorso di senso compiuto con lui.

Corey non aveva mai avuto molti amici dacché era entrato nel torbido tunnel dell’adolescenza, e neppure prima di allora le sue conoscenze si erano mai sprecate. Aveva quasi da subito preso distanza dai suoi compagni di classe, tra i quali ce ne erano forse alcuni con cui avesse legato di più, ma in linea di massima non aveva stretto rapporti di amicizia con nessuno. Erano dei ragazzi semplici, che vivevano la loro età senza troppe problematiche esistenziali e poco comprendevano la sua passione di comporre versi o scrivere racconti.

I ragazzi erano fanatici di football e baseball, mentre a lui lo sport non interessava minimamente (e questo era attestato anche dal fatto che cercasse sempre qualche escamotage per saltare l’ora di Educazione Fisica), odiava i discorsi volgari, le azzuffate puerili e i gesti irruenti che talvolta vedeva compiere dai suoi scalmanati compagni, preferendo di gran lunga starsene tranquillo a leggere una poesia di Rimbaud o a riflettere su qualche complicata questione esistenziale. A scuola aveva la media dell’otto abbondante ma, nonostante a suo parere fosse un risultato normalissimo il resto della classe ne rimaneva ugualmente impressionato e lo aveva etichettato come ‘secchione’, anche se non ne aveva affatto l’aspetto e in realtà studiava pochissimo. Ciò li portava ad avere una certa reticenza nei suoi confronti, perciò la maggior parte si limitava a chiedergli consigli esclusivamente inerenti alle materie scolastiche, chiarimenti che Corey gli aveva sempre offerto gentilmente.

Su alcune persone era in grado di esercitare un strano effetto di inquietudine che le intimoriva facendole restare alla larga per semplice istinto, anche se lui non faceva nulla per spaventarle. Le ragazze che gli si interessavano rimanevano sempre con un palmo di naso perché era difficile che concedesse loro anche solo la propria compagnia. Inutile dire che se era arrivato a quel livello d’inespugnabile solitudine la colpa era essenzialmente sua e della sua esigenza esasperante e perfezionistica che lo portava a stare male con ogni persona lo circondasse, a non accettare nessuno per quello che era, ad essere in costante, estenuante tensione verso qualcosa di aulico, di luminoso, di particolare e interessante che si sollevasse dal resto di quella massa di automi.

Si era ormai rassegnato ad essere solo e ci aveva fatto l’abitudine in modo tanto scontato da risultare quasi grottesco, come la solitudine fosse ormai divenuta la sua unica amica e con lei si fosse preparato a trascorrere il resto della vita.

Così, benché le persone cercassero di instaurare con lui anche il più semplice dei rapporti, c’era qualcosa nel suo comportamento che inconsciamente le portava a sentirsi rifiutate. Dopo aver vissuto così per quegli anni, Corey non riusciva più a sopportare quella situazione e in uno stato simile, qualora si fosse reso conto che una persona, anche qualcuno a lui detestabile come quella Mandy, gli stava tanto gratuitamente tendendo la mano, lui per istinto non avrebbe fatto a meno di provare lentamente ad afferrarla.

La ragazza aveva anche il coraggio temerario di sedersi accanto a lui durante il pranzo, talvolta non senza alcune delle sue amiche Ceer-Leaders che aveva tanto insistito per presentargli: una si chiamava Beverly, aveva i capelli sempre perfettamente lisciati come uno spaghetto e schiariti fino al biondo platino, tanto innaturali da far notare la ricrescita nera anche da lontano; un’altra, Vanessa, aveva il complesso delle efelidi troppo vistose e per ovviare a questo terribile problema si cospargeva la faccia di quantità infinite di fondotinta fino a che il viso non risultava più scuro del collo.

Erano molti gli amici che Mandy gli aveva presentato, ragazzi e ragazze, tanti che Corey aveva quasi perso il conto, e tutti facevano ovviamente parte di quella casta popolare di studenti brillanti e socialmente ricercatissimi, con la conversazione giusta per ogni occasione e sempre al massimo della compagnia, nella loro affettata e falsa gentilezza. Avevano in comune, tutti quei ragazzi, specialmente le amiche più strette, di attribuire un’importanza spropositata all’apparenza del proprio aspetto fisico, del proprio modo di presentarsi e all’adeguatezza dei propri atteggiamenti, ostentando grande sicurezza di sé e preoccupandosi di indossare sempre l’abito giusto e indossarlo bene.

Generalmente a Corey non importava niente di avere la loro amicizia e guardava la faccia che gli passava davanti di volta in volta con totale indifferenza, anche perché solitamente essa non suscitava in lui il minimo interesse, né la più banale curiosità.


Un giorno, qualche settimana dopo l’inizio della scuola, camminando al suo fianco in corridoio, Mandy lo informò che le era stata assegnata una relazione astrusa dal professore di storia ed era disperata perché in quella materia era sempre stata carente: consegnare un compito eseguito male quella volta avrebbe davvero significato ritrovarsi un quattro in pagella.

— Beh, — fu il commento di Corey, — non mi sembra poi così terribile, visto che il compito te l’ha dato da svolgere a casa. In questo modo puoi consultare tutti i libri che ti pare.

— Sì, certo, — rispose lei sbuffando, — così mi passo l’intero weekend a fare ricerche sulla Guerra di Secessione. Credi che ne abbia tanta voglia? Io volevo uscire questo sabato, magari insieme a te.

— Dove vorresti andare, di grazia?

— Non lo so, a fare un giro per negozi. Andiamo in centro, incontriamo un po’ di gente.

— Oh, muoio dalla voglia, — ribatté Corey ironicamente. — Proprio come tu muori dalla voglia di scrivere quella relazione.

— Ma Corey, è sempre la stessa storia! Si può sapere che diavolo fai il venerdì pomeriggio? Mandy smise per un attimo di camminare, visibilmente seccata.

— Non mi va di uscire, tanto meno in centro a sfilare come se fossi in vetrina!

— Certo che sei strano, — commentò lei per l’ennesima volta.

Corey si era stancato di sentirsi ripetere sempre i soliti luoghi comuni: “Ma che fai? Perché non esci? Perché non ti diverti?” Come se esistesse un unico ed inconfutabile ideale di divertimento da rispettare a tutti i costi e qualora non lo avessi rispettato, ecco che la gente ti etichettava subito come “strano.” Ma poi c’era anche dell’altro, riguardo al fatto che non volesse andare da nessuna parte con nessuno. Solitamente usciva da solo, o al massimo con sua sorella per accompagnarla da qualche parte.

Mandy gli chiese di aiutarla con la relazione di storia, un’occasione buona per portarlo a casa sua. Corey prima diede uno sguardo al materiale che aveva raccolto per la ricerca, poi gliela dettò direttamente, poiché ella non aveva abbastanza cervello per accozzare dieci parole di senso compiuto.

— Sei davvero un genio, non so come ringraziarti, — gli disse Mandy. Ma in realtà conosceva benissimo il modo adatto.

Corey strinse le spalle. — Di niente. — Probabilmente per lui era uno scherzetto da poco.

La stanza di Mandy era come una stanza delle bambole. Aveva la carta da parati a righe verticali rosa incorniciate da fiori; il letto bianco; il comò pieno di spazzole, smalti e trucchi di ogni genere, dal mascara allo stick per la pelle; i libri sparsi sulla scrivania, il PC con un adesivo a forma di farfalla e un porta CD contenente tutti i capolavori di BackStreet Boys, Boyzone e Spice Girls. Sulle sue mani dondolavano mille braccialetti di plastica, al massimo di stoffa elasticizzata o metallo variopinto, e anche gli anelli erano dello stesso materiale, stramoderni e monocromi. Le unghie parevano finte ma non lo erano, almeno quelle.

Corey avrebbe voluto sapere il perché di tutta quella omologazione, ma forse, se glielo avesse chiesto, Mandy non avrebbe capito nulla. Era probabile fosse così proprio perché voleva esserlo, perché si sentiva perfettamente integrata nella mischia. Perciò se ne restò zitto, lasciando che la ragazza riprendesse a blaterare sugli unici argomenti cui era interessata.

― Naturalmente sarò capo Ceer-Leaders anche per quest’anno, ― buttò lì come se a lui importasse qualcosa. Ormai è una tradizione. Cosa farebbero, le altre, senza di me? Sai, sono io che scelgo le ragazze nuove, quelle che vogliono fare il provino, se qualcuna esce o deve essere sostituita. È un lavoraccio. A volte mi si presentano certi elementi che non puoi immaginarti. Quella del quarto D, ce l’hai presente, Hellen Litchell? È troppo grassa per fare la Ceer-Leader: mentre ballava le si vedeva oscillare tutto il lardo in eccesso. Pensa come si sentono, poi, i giocatori di football quando vedono una così! Vomitano in mezzo al campo. Per fare la Ceer-Leader devi essere carina per forza. Almeno un po’. — Si acquietò per un attimo.

Corey era convinto che la propria bocca si stesse storcendo in una smorfia di disgusto, ma si costrinse a restare ancora un po’, forse per l’inconscio desiderio di darle una possibilità, che all’ultimo momento si rivelasse qualcosa di più profondo con cui stabilire un qualche rapporto.

— Ci vuole un bel tifo, invece, a una partita, — riprese Mandy. — So cosa vogliono i giocatori di football. Sono stata fidanzata per un anno con il capitano. Hai capito chi? Andrew Mardsen, quello con i capelli biondi…

— Sì, ho capito.

— Adesso però non stiamo più insieme. — Le premeva specialmente di sottolineare questo. — No, è una storia finita, ci siamo lasciati. Lo ho lasciato io. Troppo volgare, per i miei gusti. Troppo violento. Quando facevamo l’amore era sempre una lotta.

Era convinta di averlo messo in imbarazzo. Invece lui chiese: — Perché dunque continuavi a starci? ― già immaginando la scontata risposta.

Lo guardò con un certo stupore. Poi rispose: — E che ne so? Comunque era uno stronzo, guarda. Alla fine l’ho lasciato e adesso sono disponibile. — “Disponibile per te”, sembrava voler dire.

Corey distolse lo sguardo malinconicamente, pensando: “Lei è così diversa da me, coi suoi problemini frivoli! Così vivace e così ordinaria… non capirebbe mai ciò che provo.

Ma Corey non voleva affatto che una persona come Mandy lo capisse, anzi, nel qual caso se ne sarebbe a buon diritto sentito offeso!

Ma che importa? Non sempre per scopare occorre capirsi.

— Allora, — chiese Mandy con la sua voce più seducente, — te la lasci dare o no, questa ricompensa?

Con le labbra contratte, Corey abbassò lo sguardo. Sapeva benissimo cosa fosse quella ricompensa, allora si trattava solo di scegliere: — Fai come credi.

Mandy chiuse gli occhi e lo baciò appassionatamente sulla bocca. “Fai quello che ti pare”, pensò lui. “Fammi dimenticare tutto. Fammi scomparire da questo orribile mondo.”



A Corey, lei non interessava minimamente. La maggior parte dei ragazzi della scuola avrebbe dato il braccio destro per portarsela a letto almeno una volta nella vita e lui non si sentiva affatto attratto da quella bambolona tutta curve. Non aveva la smania di abbracciarla o di possederla. Il sesso era consolatorio ma freddo, la parvenza di un piacere fittizio che ogni volta lasciava dietro un immenso vuoto.

Non trovava eccitante il suo corpo. Non trovava eccitante niente, in lei, nonostante fosse ritenuta molto carina. Non trovava sopra il suo volto un particolare che lo colpisse… anzi, al massimo lo irritava. Ogni lineamento era nella norma: naso dritto, occhi castani, bocca proporzionata… lei era proprio come cercavano di essere tutti, la faccia che tutti copiavano. Un visetto moderno, a metà tra la giornalista ipocrita e l’attrice sofisticata, con un sorriso poco innocente che a volte quasi sembrava una specie di smorfia e che a lui non suscitava neanche il minimo sentimento. Troppo noioso, troppo dozzinale per interessarlo.

A Mandy non dispiaceva la totale di passività di quel ragazzo dalla pelle liscia come seta, né si curava di ricevere da lui baci o carezze, assaporando per la prima volta il gusto di un ruolo maschile. Era restata con Andrew per troppo tempo e ormai era stanca delle sue veementi ostentazioni di virilità, della sua forza bruta e totale prevaricazione.

Ora, invece, i capelli rossi di Corey, adagiati sul cuscino, si perdevano in mille bellissimi riccioli dai riflessi lucenti. Mandy non avrebbe mai creduto di infatuarsi di un tale ragazzo, era contro le sue norme di vita, contro la sua stessa indole. Le sue amiche a volte la prendevano in giro: — Ma che ci resti a fare con quello? È davvero strano e ha un aspetto inquietante. Potrebbe somigliare a una ragazza, con quel visuccio delicato… Mandy, non è che sarai…? — Mandy ostentava una faccia riluttante e ribatteva: — Che schifo! Ma che vai a pensare? — Poi, per fare un po’ scena e per buttarla sul ridere, rispondeva, stringendo le spalle: — Al limite posso sempre lasciarlo. Che ci vuole? Ne ho lasciati tanti!

Ma per adesso non ci pensava nemmeno. E senza neppure rendersene conto era proprio lei a tentare di dominarlo, visto che lui non lo faceva: gli si era sistemata sopra prendendo tutta l’iniziativa, quasi compiaciuta nel sentire sotto le dita quel suo corpo efebico, così diverso da tutti i suoi muscolosi fidanzati che fino ad allora si erano divertiti a metterla sotto.

Corey aveva il viso schiacciato per metà contro il cuscino e i capelli di Mandy che gli penzolavano sul petto e sulle spalle, ed emanavano quel tipico odore di lacca di cui erano imbevuti fino al midollo. Avrebbe voluto pensare di farlo con qualcuno… qualcuno che non fosse Mandy. Nei suoi pensieri c’era il vuoto indefinito; non c’erano persone che amasse o volesse con sé, con cui desiderasse fare l’amore. Non c’era nessuno, solo un baratro oscuro di cui era impossibile scorgere la fine. Mentre sentiva crescere i loro respiri non poteva fare a meno di pensare che nulla mai sarebbe stato di più che uno stupido atto carnale, che non ci sarebbe mai stata corrispondenza più forte, né con lei né con nessun altro. Questo era insopportabile. Lui sognava un amore puro e incontaminato che riuscisse ad avvolgerlo, a riempire le crepe, ad allontanarlo dal baratro senza fondo. E invece tutto ciò che gli veniva scagliato addosso era solo odio e indifferenza.

Dopo l’orgasmo si mise a piangere, soffocando i singhiozzi sul cuscino. Un momento di non ritorno. La festa è finita, si torna a casa. O forse la festa è stata solo una grottesca marcia funebre, una processione di zombie.

Mandy si alzò sulle braccia e gli accarezzò una spalla. — Corey… che hai fatto?

— Lasciami in pace, — le rispose lui con voce spezzata, scostandola bruscamente. — Allontanati.

- Continua -

Edited by Loveless - 17/3/2008, 07:41
 
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